Jobs act e “voucher”, pubblico impiego e referendum promosso dalla Cgil: temi di estrema attualità
di Vincenzo FERRANTE
Professore ordinario di diritto del lavoro presso l’Università Cattolica di Milano
Il 2017 si preannunzia come l’anno in cui il Jobs act verrà messo alla prova.
Lo sforzo imponente di rilegificare il diritto del lavoro, infatti, ha vissuto sino ad ora quasi in uno stato di sospensione, sia perché molte sue disposizioni non sono ancora uscite dallo stadio della disciplina transitoria (in primis l’Agenzia nazionale chiamata al coordinamento delle politiche attive del lavoro, restituite dopo il “no” al referendum alla competenza delle Regioni), sia perché gli sgravi nelle assunzioni hanno sino ad ora messo in secondo piano la questione dei rapporti di lavoro quasi-autonomi, che hanno finito con l’ingrossare le fila del lavoro pagato attraverso i “voucher”.
Venuto a scadenza il primo biennio di agevolazioni per le imprese, inoltre, è possibile che si registri una impennata nelle cause di licenziamento, nelle quali i giudici saranno chiamati ad applicare le nuove regole del risarcimento crescente, senza più poter restituire al lavoratore illegittimamente licenziato il suo posto di lavoro. Nello stesso senso si attende una reale messa alla prova, attraverso il rinnovo dei contratti collettivi di categoria, della nuova disciplina delle mansioni, mentre molte incertezze gravitano intorno alla riforma dei controlli a distanza, realizzati attraverso strumenti elettronici.
Ancora una volta, però, si è costretti a registrare una grande indeterminatezza in tante disposizioni di legge, redatte spesso senza una vera attenzione alla pratica di ogni giorno o con formulazioni astruse o contraddittorie. Si rischia così di lasciare il campo ad interpretazioni giurisprudenziali contrapposte, fomentando (e non da ora) una delle peggiori caratteristiche del sistema di disciplina dei rapporti di lavoro in Italia, a livello sia individuale sia collettivo, e così paralizzando di fatto (se non alterando) le stesse intenzioni del legislatore.
La nascita di un nuovo Governo e le tensioni conseguenti all’avvicinarsi delle elezioni politiche e del voto sui referendum promossi dalla Cgil (in tema di licenziamento, di appalto e di lavoro “occasionale”) rischiano di far finire in maniera brusca quel periodo di tregua assoluta di cui si era potuto avvantaggiare il precedente Esecutivo per mettere mani alla riforma (e che forse poteva essere meglio utilizzato, come sopra si è detto, per dettare una normativa più sistematica e meno ambigua).
Una nota positiva sembra giungere però dal mondo sindacale che, dopo le difficoltà “interne” delle organizzazioni dei lavoratori e delle stesse associazioni datoriali, sembra ora dare segnali di vivacità soprattutto attraverso il rinnovo del Ccnl dei meccanici. Dalla prima lettura dei testi, sembra evidente uno spostamento verso il basso del baricentro delle relazioni sindacali: si tratta di una sfida preannunziata da tempo, ma che, per le ridotte dimensioni delle imprese italiane, non sarà facile vincere se non attraverso un rafforzamento delle organizzazioni territoriali e della rappresentanza aziendale.
Su un altro versante, la riforma del pubblico impiego, che coinvolge non solo i dipendenti delle Amministrazioni in senso proprio, ma anche quasi un milione di addetti alle società di servizi, il cui capitale è detenuto da Comuni e Regioni. Qui la conferma del precedente Ministro potrebbe giovare a concludere in tempi brevi il cerchio, mediante l’esercizio delle deleghe ancora inattivate e la correzione dei profili giudicati illegittimi dalla Corte costituzionale in una sua recente pronunzia.
Infine, un’altra novità viene dall’Ispettorato nazionale, che giunge a coronare l’azione di coordinamento dei sistemi di vigilanza intrapresa oramai dodici anni fa e che, e da pochi mesi, ha iniziato ad operare a pieno regime: solo con l’anno che viene si potrà valutare quale potrà essere il suo ruolo per assicurare uniformità di indirizzo fra i tanti enti di vigilanza su tutto il territorio della Penisola così da aggredire in maniera più incisiva il ricorso al lavoro nero, in tanti settori (agricoltura e servizi, in primis).
Tanto lavoro, insomma, che richiede passione, attenzione e competenza per ridare competitività al Paese.