Sui media è circoscritta ai processi, alle norme da rispettare, ma non è così

di Gian Marco ZANARDI
avvocato cassazionista del Foro di Milano e docente di scienze giuridiche ed economiche

giustizia

A chi non è capitato andando su un sito internet di imbattersi, spesso già nella “home page”, in notizie riguardanti la giustizia? A chi non è capitato di sentir parlare o discutere di giustizia in televisione, in radio o su giornali e riviste? Alla luce di questo, quando si pensa alla giustizia in genere si pensa a due o più parti coinvolte in un processo, ma anche ai giuristi ed operatori del diritto ossia principalmente ai giudici, agli avvocati, ai notai ossia a coloro che con la giustizia in vario modo “lavorano”. Si pensa insomma a qualcosa che sembra non riguardare la quotidianità, ma solo l’eccezionalità di alcuni eventuali momenti della vita particolarmente critici; si pensa generalmente a qualcosa che riguarda gli “addetti ai lavori” ossia coloro che hanno studiato e praticato il diritto per anni, per decenni o addirittura per lustri; si pensa comunque a qualcosa che riguarda “il giuridico” ossia che ha a che fare con le norme che lo Stato fa rispettare. Eppure nella quotidianità non viviamo senza esprimere giudizi di valore.

Il nostro relazionarci agli altri, non è forse condizionato da un giudizio di valore, quindi di giustizia o ingiustizia, che diamo sul nostro ed altrui comportamento? Del linguaggio comune non fanno forse parte espressioni come “si è comportato ingiustamente”, “ha fatto male”, “è stato giusto”, “è stato ingiusto”, “ho fatto bene”, “ho fatto male”? Non sentiamo forse il nostro poter valutare un aspetto imprescindibile della nostra libertà? Ma se sta questo, anche la dimensione giuridica abbraccia allora la nostra quotidianità proprio per il nesso strutturale che la lega alla dimensione valoriale e quindi alla giustizia. Del resto, anche senza pensarci, ogni giorno compiamo atti giuridici. Ogni giorno il nostro agire, o meglio inter-agire, si misura con diritti e doveri nostri ed altrui tutelati da norme di cui si fa garante lo Stato. Quando ad esempio obliteriamo il biglietto dell’autobus, paghiamo un pedaggio autostradale, portiamo in giro il cane, rispettiamo la proprietà altrui, ci fermiamo a soccorrere un infortunato sulla pista da sci, manteniamo ed educhiamo i nostri figli compiamo degli atti che hanno rilevanza giuridica perché, così facendo, esercitiamo diritti ed onoriamo doveri, obblighi e obbligazioni che lo Stato garantisce. Non solo, ma la giustizia è invocata nella nostra quotidianità anche per quegli aspetti del nostro agire relazionale che non hanno una rilevanza giuridica. Quando ad esempio, nel tempo libero, qualcuno non si presenta ad un appuntamento senza avvertirci o quando aiutiamo qualcuno in difficoltà, non esprimiamo forse un giudizio di valore negativo nel primo caso e positivo nel secondo? Entra insomma in gioco una dimensione più ampia di quella giuridica: la dimensione etica. Ho detto “più ampia” proprio perché la giustizia riguarda tutto il nostro agire e non soltanto quello giuridicamente rilevante. Ciò evidenzia da una parte la distinzione tra diritto e morale, dall’altra la qualità morale del diritto stesso.

La norma giuridica dunque non è, in quanto tale, sempre e comunque morale perché non sempre, così come viene formulata o interpretata, è conforme a giustizia, ma ha qualità etica in quanto dovrebbe esserlo. Ciò tuttavia è vero a patto che non si riduca la giustizia a mera soggettività; che cos’è infatti la giustizia? Si potrebbe di primo acchito rispondere che la giustizia consiste nel rispetto della dignità altrui nei rapporti sociali e nel riconoscere quindi a ciascuno ciò che gli spetta non solo in senso materiale (ad esempio denaro) ma anche in senso spirituale (ad esempio aiuto, comprensione, affetto). La risposta però è ancora parziale e lascia intatto il cuore del problema perché presuppone la risposta ad un’altra domanda: che cos’è l’essere umano? Ho detto “che cos’è?” e non “chi è?” perché qui la domanda non riguarda le caratteristiche di questo o quel singolo essere umano, ma appunto che cosa connota l’essere umano in quanto tale, l’essere umano di tutti i tempi e di tutti i luoghi. La domanda sul “che cosa” precede la domanda sul “chi” perché appunto non si esaurisce sul singolo essere umano ma riguarda tutto l’uomo e tutti gli uomini.

Certamente noi ci sperimentiamo come esseri storico-culturali perché nasciamo e viviamo dentro un contesto relazionale con determinate caratteristiche sviluppatesi nel tempo. Può tuttavia l’uomo essere ridotto a questo? Ossia ad un puro e semplice prodotto storico-culturale definito in base a come soggettivamente di volta in volta il contesto storico-culturale decide? O piuttosto si deve riconoscere l’esistenza di qualcosa che identifica oggettivamente l’essere umano in ogni tempo e in ogni luogo, in ogni contesto storico-culturale? Una verità che – non essendo soggetta ai mutevoli e spesso arbitrari umori delle maggioranze e tanto meno espressione di prevalenti interessi di parte – smaschera e denuncia ogni prevaricazione dell’uomo sull’uomo? Solo in quest’ultima prospettiva il valore della dignità umana, nel cui rispetto e promozione si sostanzia la giustizia, assume e mantiene una sua consistenza. Solo in questa prospettiva l’etica può orientare alla giustizia il diritto senza confondersi con esso.

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