Rafforzata con il Decreto Liberalizzazioni del 2012 a tutela dei consumatori

dell’avvocato e professore Alberto PIERGROSSI
Unione Giuristi Cattolici Italiani

martello giudice

Inizialmente definita “azione collettiva risarcitoria”, laclass action (in italiano “azione di classe”) a tutela dei consumatori è stata introdotta in Italia dalla Legge Finanziaria per il 2008. Dopo numerosi rinvii, la relativa disciplina ha trovato collocazione nell’articolo 140-bis del Codice del Consumo, introdotto dalla cosiddetta Legge Sviluppo, del 23 luglio 2009, n. 99, ed è esperibile in relazione ad eventi verificatisi a partire dal 15 agosto 2009, data di entrata in vigore della legge. La norma è stata poi da ultimo modificata con il Decreto Liberalizzazioni (Decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1) con il dichiarato obiettivo di renderla più efficace.

La class action è un’azione promossa da un soggetto che rappresenta altri soggetti (la “classe”) accomunati da un medesimo interesse nell’azione. Questi soggetti non partecipano al giudizio ma ne subiscono le conseguenze.

Introdotta anzitutto negli Stati Uniti con la nota Rule 23 of the Federal Rules of Civil Procedure, la class action è stata poi adottata con diverse declinazioni in molti Paesi.

L’“azione di classe” risponde all’esigenza di incentivare le vittime di “illeciti di massa” (mass torts) a proporre azione di risarcimento nei confronti del danneggiante. Senza l’esercizio di tale azione, infatti, il danneggiante non sarebbe incentivato ad adottare il livello di precauzione idoneo a prevenire il verificarsi di eventi dannosi in futuro. D’altronde, il danneggiato può trovarsi nella posizione di non potere o di non volere esercitare detta azione, sia perché percepisce i costi del contenzioso come superiori alle prospettive di risarcimento, sia per la difficoltà di provare in giudizio il danno sofferto, soprattutto in materia sanitaria e farmaceutica, sia infine perché lo stesso danneggiato non è a conoscenza del danno (si pensi alle patologie derivanti dai prodotti difettosi).

La disciplina dell’“azione di classe” mira appunto a correggere queste asimmetrie strutturali.

L’azione può essere promossa da singoli consumatori od utenti, anche per tramite di associazioni alle quali gli stessi danno mandato, o comitati cui partecipano, al verificarsi di illeciti da parte di imprese multinazionali, e tende all’accertamento della responsabilità di queste ultime, alla conseguente condanna, al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti. La relativa sentenzafavorevole avrà poi effetto o potrà essere fatta valere da tutti i soggetti che si trovino nella medesima situazione di quel singolo cittadino che aveva agito.

L’“azione di classe” tutela i “diritti individuali omogenei”: a) di natura contrattuale di una pluralità di consumatori e utenti che si trovino “in situazione omogenea” nei confronti della stessa impresa; b) spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto o servizio nei confronti del relativo produttore; c) derivanti da pratiche commerciali scorrette e da comportamenti anticoncorrenziali. Dopo la recente modifica anche gli “interessi collettivi” sono tutelabili mediante l’“azione di classe”.

Sotto il profilo meramente processuale, l’“azione di classe” si propone con atto di citazione da notificarsi, oltre che al convenuto, anche all’ufficio del Pubblico Ministero del Tribunale competente. È competente, per territorio, il Tribunale ordinario del capoluogo della Regione ove ha sede l’impresa. In deroga a tale criterio generale, l’art. 140-bis indica espressamente, per alcune regioni, il Tribunale competente (esempio: per la Calabria e la Basilicata è competente il Tribunale di Napoli).

I consumatori che si trovano nella stessa condizione dell’attore originario possono aderire all’azione attraverso un “atto di adesione”, anche tramiteposta elettronica certificata e fax e anche senza il ministero del difensore. L’adesione impedisce all’aderente di esercitare ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo, salvo che vi sia stata una transazione alla quale egli non abbia preso parte.

Il processo è strutturato in due fasi. La prima consta di un’udienza nella quale il Tribunale decide sull’ammissibilità della domanda, negandola se essa risulta manifestamente infondata; sesussiste un conflitto di interessi tra attore e aderente e tra aderenti; ovvero se il giudice non ravvisa l’identità dei diritti individuali tutelabili; o se il proponente non appare in grado di curare adeguatamente l’interesse della “classe”.

In caso di ritenuta ammissibilità, il Tribunale: 1) stabilisce i termini e le modalità della pubblicità, ai fini della adesione degli appartenenti alla “classe”; 2) fissa un termine perentorio, non superiore a 120 giorni, entro il quale gli atti di adesione devono essere depositati in cancelleria (dopo la scadenza del termine non sono proponibili “azioni di classe” per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa); 3) definisce i diritti individuali omogenei oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella “classe”; 4) determina il corso del procedimento, assicurando, nel rispetto del contraddittorio, l’equa, efficace e sollecita gestione del processo.

La sentenza con la quale il Tribunale accoglie la domanda stabilisce le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione oppure determina il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione. La sentenza è esecutiva decorsi 180 giorni dalla pubblicazione, periodo stabilito allo scopo di consentire una definizione transattiva prima che si arrivi all’esecuzione forzata.

Il meccanismo dell’“azione di classe” in Italia fatica a integrarsi e a funzionare. Ad oggi, di fronte a numerosi casi di “azione di classe” “minacciata”, come nell’episodio dei ritardi dei treni dopo l’incendio della Stazione Tiburtina o dei veicoli Toyota difettosi, pochi sono stati casi in cui tale azione è stata concretamente esercitata.

Il Decreto Liberalizzazioni ha tentato di restituire impulso a tale azione prevedendo, come accennato sopra, che essa possa essere presentata per tutelare non solo diritti ma anche interessi collettivi, oltre a non richiedere più che l’azione verta sulla tutela di diritti individuali identici, ma solo omogenei. Resta da vedere se ciò sia sufficiente a rendere tale strumento veramente “efficace” o se, come molti sostengono, nonostante le estensioni di tutela, si tratti di uno strumento poco compatibile con il sistema processuale italiano, ossia con tutti i comunipresupposti e condizioni propedeutici all’agire in giudizio, che i giudici tendono ad accertare con estremo rigore.

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