Meglio puntare alla celerità dei processi invece che aumentare il termine della prescrizione

di Cesare BERETTA

bilancia giustizia

Il giorno 3 agosto 2017 è entrata in vigore la legge 23 giugno 2017 numero 103, recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario”, conosciuta come riforma Orlando, alla fine di un lavoro parlamentare di circa due anni e mezzo, senza soddisfare appieno gli addetti ai lavori.

In questa legge si trova un po’ di tutto. Qui ci concentreremo sulla prescrizione, argomento a lungo dibattito in politica e nella pubblicistica.

Due le correnti di pensiero, riconducibili, con brutale semplificazione, alle categorie del giustizialismo e del garantismo.

Da un lato l’idea di interrompere il decorso della prescrizione a un certo stadio processuale, col rischio di rendere i processi ancora più lunghi, oltre che di incidere in maniera eccessiva sui diritti dei singoli accusati, specie se alla fine innocenti.

Dall’altro si pone l’accento sulla necessità di rendere più celeri i processi, così da conciliare esigenza punitiva e diritto dei singoli, anche in ossequio al principio della durata ragionevole del processo espresso nell’articolo 111 della Costituzione e disciplinato nella legge “Pinto”, secondo la quale la durata ragionevole non dovrebbe superare i sei anni.

Nel diritto penale la prescrizione costituisce una causa di improcedibilità dell’azione penale connessa al decorrere del tempo. È come se lo Stato dicesse: può darsi che tu abbia commesso un reato, ma siccome ormai è passato tanto tempo, il tuo reato, come offesa alla società, è stato dimenticato e magari tu adesso vivi una vita assolutamente normale, con famiglia, lavoro, buoni rapporti sociali. Perciò non si procede.

È chiaro che l’impatto di una declaratoria di prescrizione sull’opinione pubblica è diverso se essa arriva perché non si è mai indagato su un certo fatto anziché perché il processo non si è concluso definitivamente per tempo essendo però stata pronunciata una sentenza di condanna, magari anche in appello.

La riforma Orlando non ha sposato integralmente nessuna delle due prospettive, adottando criteri di “aggiustamento”. Da un lato prolungando indirettamente i termini di prescrizione, con l’aumento dei casi di sospensione del termine durante il processo, dall’altro introducendo alcuni meccanismi processuali idonei ad abbreviarne la durata.

Peraltro, negli ultimi anni la tendenza era già stata quella di raddoppiare i termini di prescrizione per taluni tipi di reato, quali gli omicidi colposi sul lavoro e l’omicidio stradale (rispettivamente 14 anni e sei mesi e 30 anni), come per i maltrattamenti in famiglia e i reati a sfondo sessuale. In questi casi, se la persona offesa è minorenne il termine di prescrizione, se non si sia nel frattempo proceduto, decorre dal compimento della maggiore età, il che ha un senso con riferimento al rischio che il minore abbia timore a denunciare i fatti.

Sembra che il legislatore degli ultimi tempi col raddoppio dei termini di prescrizione (e con l’aumento a dismisura delle pene per molti reati) voglia far sapere che nulla e mai resterà impunito.

Però, l’aumento dei termini di prescrizione non significa indirettamente sfiducia nella capacità dei tribunali di decidere in tempi ragionevoli? Che ne è dell’articolo 111 della Costituzione?

Termini di prescrizione così lunghi non sono garanzia di giustizia, anzi potrebbero essere produttivi di ingiustizie sostanziali.

Si pensi all’omicidio stradale. Con danno tempestivamente risarcito (stante il regime di assicurazione obbligatoria dei veicoli, per quanto ampiamente eluso), avrebbe senso tenere sulla corda fino ai cinquant’anni di età chi ha commesso il reato a venti? Una eventuale condanna per un reato con pena minima di otto anni non finirebbe per rovinare anche l’esistenza del colpevole, senza più avere le caratteristiche di una pena giusta, proporzionata alla sua personalità attuale?

Questa osservazione, ad avviso di chi scrive, convince che il versante su cui operare è quello della celerità dei processi, non quello dell’indiscriminato aumento delle pene o del termine di prescrizione.

La legge prevede anche l’aumento dei casi in cui la presenza personale di imputati e testimoni può essere sostituita da collegamenti video, previsione che ha suscitato, con qualche ragione, la contrarietà degli avvocati, che temono una limitazione del diritto di difesa.

Come ormai abituale negli ultimi tempi, questa legge non regola interamente la materia oggi, perché gran parte della normativa dovrà trovare attuazione concreta con decreti delegati al Governo, da adottare entro il 2 agosto 2018.

Si vedrà con quale risultato.

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