Il caso emblematico del licenziamento di un portiere di un grande albergo romano
di Gian Marco ZANARDI
Tutti hanno presente la figura del portiere d’hotel: figura di solito simpatica, disponibile all’ascolto, accogliente. Ebbene, la suprema Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ha depositato in Cancelleria una sentenza (numero 17914 del 12 settembre 2016) che afferma la legittimità del licenziamento disciplinare di un portiere di un grande albergo romano. Il che di per sé, in un contesto in cui neppure i dipendenti pubblici possono più contare su un posto di lavoro cosiddetto “blindato”, probabilmente non susciterà molto scalpore. Del resto nessuno è inamovibile: indubbiamente il posto di lavoro è un bene prezioso (e lo è a maggior ragione nel periodo di crisi che stiamo vivendo) anche perché da esso solitamente dipende il sostentamento del lavoratore e della sua famiglia.
Non è un caso che il lavoro sia tutelato dalla nostra Costituzione come valore primario (articolo 1 comma I – articolo 35 comma I), ma del posto di lavoro (pubblico o privato che sia) non si può abusare poiché, in tal caso, si reca un pregiudizio al datore di lavoro ed eventualmente anche ai clienti del datore di lavoro per cui si è passibili di sanzioni disciplinari oltre che, a seconda dei casi, di sanzioni civili e penali. La dimensione lavorativa, come del resto ogni altra dimensione dell’umano, è relazionale e la relazione è un “ponte” con cui si può rendere agli altri un servizio o, appunto, cagionare un danno. Le sanzioni hanno proprio lo scopo di indirizzare chi ha danneggiato o chi ne fosse tentato verso una vita giusta e quindi autenticamente relazionale.
Ora, il licenziamento è la più grave delle sanzioni disciplinari e può essere comminata solo per fatti di estrema gravità tali da rendere il lavoratore del tutto inaffidabile con conseguente incompatibilità con il proseguimento del rapporto di lavoro. Tutte le mancanze del lavoratore sono dunque sanzionabili, ma non tutte le mancanze comportano il licenziamento poiché, come da consolidato orientamento della Cassazione, deve appunto esserci proporzionalità tra condotta illecita e sanzione comminata.
La sentenza dianzi citata giustifica il licenziamento proprio con il tradimento, nel caso di specie, della fiducia alla base del rapporto lavorativo evidenziando peraltro come il carattere fiduciario del rapporto di lavoro in generale sia particolarmente marcato nel rapporto di portierato alberghiero essendo appunto «gli addetti alla portineria delegati dal datore di lavoro all’accoglienza della clientela ed al soddisfacimento delle sue prime esigenze» (sentenza citata, pagina 5). Insomma ritiene sussistere giusta causa di licenziamento ai sensi dell’articolo 2119 del Codice civile.
Di quale comportamento scorretto tuttavia stiamo parlando? Il portiere si era a più riprese impossessato di alcuni giornali dell’albergo che taluni clienti avevano chiesto e che quindi non sono stati consegnati. Di qui le doglianze di qualcuno di questi cui è seguita la lettera di licenziamento e la denuncia in sede penale per appropriazione indebita (dalla quale il portiere è stato poi assolto per insussistenza del fatto). Certo, il portiere ha commesso un illecito perché ha compromesso l’immagine dell’hotel ed ha altresì prodotto a quest’ultimo un danno economico almeno pari al valore dei giornali sottratti, ma occorre considerare che si tratta di un illecito isolato, senza alcun precedente, che ha cagionato un danno tutto sommato di scarsa entità sia per il valore dei giornali sottratti sia per il danno d’immagine dovuto al disservizio della mancata consegna.
Ma la ricaduta negativa del fatto considerato sulla fiducia del datore di lavoro può essere tale da giustificare (ossia “rendere giusta”, “conforme a giustizia”) la perdita dell’unica fonte di sostentamento? Sembra proprio di no, almeno in un ordinamento giuridico funzionale ad una giustizia fondata sul primato della persona (fisica) e dei suoi inalienabili diritti.