Società mediatizzata, credenti, comunità cristiana: parla Fausto Colombo dell'Università Cattolica
di Pino NARDI
Redazione
«Quanto più ci sarà circolazione di opinione pubblica dentro la Chiesa, tanto più essa agirà con sempre maggior forza nell’opinione pubblica più ampia. Non bisogna avere paura del dibattito, di dirsi le cose in faccia, di discutere le grandi scelte, salvato il cuore del messaggio evangelico naturalmente di cui la Chiesa nella sua totalità – e quindi soprattutto il suo magistero – è depositaria. Talvolta invece c’è poca circolazione di dibattito». A una decina dall’incontro del cardinale Tettamanzi con i giornalisti, Fausto Colombo, direttore dell’Osservatorio sulla comunicazione e docente di Teoria e tecnica dei media e di Media e politica alla Cattolica di Milano, riflette su Chiesa e comunicazione, sul ruolo della stampa cattolica. E sottolinea l’efficacia anche dei blog.
Come comunica la Chiesa e come viene invece comunicata? C’è il rischio che la si consideri come un partito o una lobby?
C’è una forte differenza tra il mandato comunicativo della Chiesa, che fa parte della sua natura (la buona novella), e come viene raccontata nella sua missione, nei suoi uomini, negli effetti delle sue azioni. Innanzitutto, il problema della Chiesa è come comunicare nel rumore. La prima sfida è di essere dovunque la comunicazione c’è, ben sapendo però che nella proliferazione di mezzi e contenuti farsi ascoltare diventa più difficile. Dunque, occorre attraversare questo rumore e raggiungere un luogo in cui l’uomo ha ancora il silenzio per ascoltare. Da questo punto di vista la via maestra è ancora la comunicazione personale. Intanto perché è quello che è all’origine del messaggio: se c’è una religione che ha fatto della testimonianza personale, dell’essere corpo e presenza, è il cristianesimo sino alle estreme conseguenze. C’è un’altra ragione in più, direi tattica: là dove il rumore comunicativo è forte, parlare direttamente all’altra persona diventa uno strumento migliore. La Chiesa fa benissimo a essere presente sulla Rete, in televisione, nei giornali. Quello è un terreno importante, ma in cui spendi tanto per avere poco. Mentre si spende anche molto nella comunicazione personale e apparentemente si guadagna meno, perché non raggiungi le masse, però ogni singola persona che hai raggiunto, lo è per davvero.
Quando i media parlano della Chiesa in genere si limitano al Papa o ai vescovi, quasi sempre in una logica di contrapposizione, mentre il vissuto ecclesiale emerge ben poco…
Dobbiamo essere molto attenti come cristiani a discernere fra il finto atteggiamento di copertura dei fatti della Chiesa con quello che poi realmente si fa. Nella Chiesa ci sono “oggetti” più notiziabili e altri meno, che fanno comodo e altri che non lo fanno. Allora cosa fa comodo? Tutto quello che è utilizzabile: quindi il Papa perché è a Roma; le dichiarazioni perché sono ottime da spendere, sono semplificatrici; ciò che può essere riportato a un già noto come la politica; quello che provoca, non perché ti interroga ma perché ti rafforza nelle tue opinioni. Cosa non è notiziabile e viene espunto? È l’alterità del cristiano, crescente nel mondo d’oggi: è veramente un alieno. A fronte di tante persone che dicono i valori cristiani («ma non chi dice Signore Signore…», dice il Vangelo): bisogna difendere la famiglia e rispettare il parere della Chiesa… Ma poi vengono proposti i modelli di vita rispetto ai quali il cristiano può solo dire: scusate, vivo altrove, davvero sono nel mondo, ma mai come adesso non sono del mondo…
Nonostante c’è chi appunto accampa difese di tradizioni cristiane…
Anzi proprio per quello dobbiamo essere cristianamente sospettosi. Negli ultimi 20 anni nel mondo – ma nel nostro Paese in particolare – è stata sdoganata una cultura assolutamente acristiana: del successo, della bellezza esteriore, della sessualità come oggetto comprabile o acquisibile; dell’emancipazione non emancipata dei giovani che diventano adulti molto presto, ma nei comportamenti esteriori non dentro; il valore non del lavoro, ma del successo economico. Non c’è niente di cristiano in tutto ciò. Allora questa alterità è difficile da dire. Forse non è nemmeno colpa dei media, ma l’importante è non sentirsi appagati quando i mezzi di comunicazione parlano della Chiesa, dei cardinali, del Papa. Non è niente, rispetto all’essenziale.
In questo contesto quale ruolo svolgono i media cattolici?
Di recente abbiamo vissuto una fase particolarmente drammatica dei rapporti fra i media cattolici e il potere. Forse è un buon momento per parlarne: quando il potere ti dice che sei bravo e ti appoggiano bisogna essere sospettosi. Dopo le mazzate prese, possiamo dire serenamente che il mondo cattolico produce un gran lavoro. Parlo dei media grandi, ma anche e soprattutto di quelli piccoli (settimanali diocesani, piccoli giornali di provincia di ispirazione cristiana, i tanti forum sulla Rete a cui la Cei ha dedicato così tanta attenzione). Ci spendiamo anche generosamente, i risultati vanno e vengono, ma non dipendono soltanto da noi. Dopodiché, non possiamo dimenticare che i giornali cattolici sono stati inventati quando l’élite parlavano fra di loro, svolgendo un ruolo formativo nei confronti della gente comune. Cosa che non avviene più. Noi ci proviamo, mettiamo semi dentro la comunicazione, ma deve essere tutto finalizzato poi all’incontro personale.
Anche per la sproporzione delle forze nel sistema dei media…
Esatto. Vorrei dare un giudizio totalmente personale, non da studioso. Per mia natura preferisco i mezzi piccoli a quelli grandi, il piccolo blog alla grande televisione, perché secondo me paga di più in termini di qualità interiore. Anche se non vuol dire rinunciare agli altri media.
Anche i lettori in qualche modo dovrebbero riscoprire e apprezzare le testate cattoliche…
Naturalmente bisogna interrogarsi dalle due parti: lo deve fare il lettore, ma anche il giornale. «Quanto più ci sarà circolazione di opinione pubblica dentro la Chiesa, tanto più essa agirà con sempre maggior forza nell’opinione pubblica più ampia. Non bisogna avere paura del dibattito, di dirsi le cose in faccia, di discutere le grandi scelte, salvato il cuore del messaggio evangelico naturalmente di cui la Chiesa nella sua totalità – e quindi soprattutto il suo magistero – è depositaria. Talvolta invece c’è poca circolazione di dibattito». A una decina dall’incontro del cardinale Tettamanzi con i giornalisti, Fausto Colombo, direttore dell’Osservatorio sulla comunicazione e docente di Teoria e tecnica dei media e di Media e politica alla Cattolica di Milano, riflette su Chiesa e comunicazione, sul ruolo della stampa cattolica. E sottolinea l’efficacia anche dei blog.Come comunica la Chiesa e come viene invece comunicata? C’è il rischio che la si consideri come un partito o una lobby?C’è una forte differenza tra il mandato comunicativo della Chiesa, che fa parte della sua natura (la buona novella), e come viene raccontata nella sua missione, nei suoi uomini, negli effetti delle sue azioni. Innanzitutto, il problema della Chiesa è come comunicare nel rumore. La prima sfida è di essere dovunque la comunicazione c’è, ben sapendo però che nella proliferazione di mezzi e contenuti farsi ascoltare diventa più difficile. Dunque, occorre attraversare questo rumore e raggiungere un luogo in cui l’uomo ha ancora il silenzio per ascoltare. Da questo punto di vista la via maestra è ancora la comunicazione personale. Intanto perché è quello che è all’origine del messaggio: se c’è una religione che ha fatto della testimonianza personale, dell’essere corpo e presenza, è il cristianesimo sino alle estreme conseguenze. C’è un’altra ragione in più, direi tattica: là dove il rumore comunicativo è forte, parlare direttamente all’altra persona diventa uno strumento migliore. La Chiesa fa benissimo a essere presente sulla Rete, in televisione, nei giornali. Quello è un terreno importante, ma in cui spendi tanto per avere poco. Mentre si spende anche molto nella comunicazione personale e apparentemente si guadagna meno, perché non raggiungi le masse, però ogni singola persona che hai raggiunto, lo è per davvero.Quando i media parlano della Chiesa in genere si limitano al Papa o ai vescovi, quasi sempre in una logica di contrapposizione, mentre il vissuto ecclesiale emerge ben poco…Dobbiamo essere molto attenti come cristiani a discernere fra il finto atteggiamento di copertura dei fatti della Chiesa con quello che poi realmente si fa. Nella Chiesa ci sono “oggetti” più notiziabili e altri meno, che fanno comodo e altri che non lo fanno. Allora cosa fa comodo? Tutto quello che è utilizzabile: quindi il Papa perché è a Roma; le dichiarazioni perché sono ottime da spendere, sono semplificatrici; ciò che può essere riportato a un già noto come la politica; quello che provoca, non perché ti interroga ma perché ti rafforza nelle tue opinioni. Cosa non è notiziabile e viene espunto? È l’alterità del cristiano, crescente nel mondo d’oggi: è veramente un alieno. A fronte di tante persone che dicono i valori cristiani («ma non chi dice Signore Signore…», dice il Vangelo): bisogna difendere la famiglia e rispettare il parere della Chiesa… Ma poi vengono proposti i modelli di vita rispetto ai quali il cristiano può solo dire: scusate, vivo altrove, davvero sono nel mondo, ma mai come adesso non sono del mondo…Nonostante c’è chi appunto accampa difese di tradizioni cristiane…Anzi proprio per quello dobbiamo essere cristianamente sospettosi. Negli ultimi 20 anni nel mondo – ma nel nostro Paese in particolare – è stata sdoganata una cultura assolutamente acristiana: del successo, della bellezza esteriore, della sessualità come oggetto comprabile o acquisibile; dell’emancipazione non emancipata dei giovani che diventano adulti molto presto, ma nei comportamenti esteriori non dentro; il valore non del lavoro, ma del successo economico. Non c’è niente di cristiano in tutto ciò. Allora questa alterità è difficile da dire. Forse non è nemmeno colpa dei media, ma l’importante è non sentirsi appagati quando i mezzi di comunicazione parlano della Chiesa, dei cardinali, del Papa. Non è niente, rispetto all’essenziale.In questo contesto quale ruolo svolgono i media cattolici?Di recente abbiamo vissuto una fase particolarmente drammatica dei rapporti fra i media cattolici e il potere. Forse è un buon momento per parlarne: quando il potere ti dice che sei bravo e ti appoggiano bisogna essere sospettosi. Dopo le mazzate prese, possiamo dire serenamente che il mondo cattolico produce un gran lavoro. Parlo dei media grandi, ma anche e soprattutto di quelli piccoli (settimanali diocesani, piccoli giornali di provincia di ispirazione cristiana, i tanti forum sulla Rete a cui la Cei ha dedicato così tanta attenzione). Ci spendiamo anche generosamente, i risultati vanno e vengono, ma non dipendono soltanto da noi. Dopodiché, non possiamo dimenticare che i giornali cattolici sono stati inventati quando l’élite parlavano fra di loro, svolgendo un ruolo formativo nei confronti della gente comune. Cosa che non avviene più. Noi ci proviamo, mettiamo semi dentro la comunicazione, ma deve essere tutto finalizzato poi all’incontro personale.Anche per la sproporzione delle forze nel sistema dei media… Esatto. Vorrei dare un giudizio totalmente personale, non da studioso. Per mia natura preferisco i mezzi piccoli a quelli grandi, il piccolo blog alla grande televisione, perché secondo me paga di più in termini di qualità interiore. Anche se non vuol dire rinunciare agli altri media.Anche i lettori in qualche modo dovrebbero riscoprire e apprezzare le testate cattoliche… Naturalmente bisogna interrogarsi dalle due parti: lo deve fare il lettore, ma anche il giornale. – – Media education, una risorsa da promuovere