di Gianluca BERNARDINI
Redazione
“Benedetti e maledetti media”: questo potrebbe essere lo slogan o il grido di allarme per la nostra società sempre più pervasa dalla loro presenza di massa. A secondo della prospettiva da cui si guarda, possono essere una maledizione, ma anche diventare una benedizione. Viviamo e respiriamo in quest’aria mediatica e non possiamo privarcene. Per questo sempre più, come Chiesa e comunità cristiane, c’è la necessità di riflettere e di agire per non rischiare di restare fuori sia nel campo della comunicazione, sia della nuova evangelizzazione, nonché primariamente dell’educazione.
Per questo venerdì 22 gennaio a Milano si sono riuniti gli Uffici diocesani lombardi delle Comunicazioni sociali insieme ai tanti operatori che lavorano in diversi ambiti pastorali (catechesi, famiglia, scuola, oratorio) per una giornata studio sulla Media Education.
Diretti e coordinati da Pier Cesare Rivoltella, docente dell’Università cattolica, insieme a un gruppo di esperti del Cremit (Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia), è emerso che la Media Education non riguarda più il solo mondo della scuola, ma coinvolge pienamente l’extrascolastico.
A fronte di una conclamata “realtà virtuale”, che di fatto non esiste, si deve piuttosto parlare di “realtà aumentata” che si prolunga nella tecnologia; una tecnologia portatile, presente e invisibile, che coinvolge la gran parte dei ragazzi (nativi digitali). I nuovi media (come il cellulare e gli applicativi dei Social Network) stanno spostando il baricentro delle pratiche individuali e sociali verso l’informale. Proprio qui l’intervento pastorale può (o deve) inserirsi in termini educativi ed evangelici. Là dove la scuola sembra accusare “un ritardo” e la famiglia “un disagio”, lì si inserisce l’opera dell’educatore preparato.
Così il compito della Media Education diventa non solo risorsa, ma impegno morale: dal “fare i media” (giornale on line dell’oratorio, il blog, il canale Youtube o la Web-radio) si passa e “fare con i media” (il podcasting per la catechesi, Sms e Twitter per la comunicazione, Facebook per l’aggregazione e il gruppo, lo streaming per la comunicazione liturgica) per poi “riflettere sui media”: quale volto e quale identità in Facebook? Quale verità nella rete? Quali possibilità di promozione dell’uomo? Quale idea del bene e del male? Quale spiritualità?
Proposte ed esperienze, in parte attuate, che già insegnano, ma che chiedono la possibilità di mettersi in rete per creare uno stile operativo sempre più comune. A che punto siamo? Forse alla tanto declamata urgenza manca ancora la pronta volontà per agire soprattutto nella prospettiva di una seria formazione, non solo degli operatori pastorali, ma anche dei singoli presbiteri, a partire dai seminari.
Siamo perciò chiamati a diventare da partecipanti a “partecip-attivi”, da spettatori a “spett-autori”. “Benedetti e maledetti media”: questo potrebbe essere lo slogan o il grido di allarme per la nostra società sempre più pervasa dalla loro presenza di massa. A secondo della prospettiva da cui si guarda, possono essere una maledizione, ma anche diventare una benedizione. Viviamo e respiriamo in quest’aria mediatica e non possiamo privarcene. Per questo sempre più, come Chiesa e comunità cristiane, c’è la necessità di riflettere e di agire per non rischiare di restare fuori sia nel campo della comunicazione, sia della nuova evangelizzazione, nonché primariamente dell’educazione.Per questo venerdì 22 gennaio a Milano si sono riuniti gli Uffici diocesani lombardi delle Comunicazioni sociali insieme ai tanti operatori che lavorano in diversi ambiti pastorali (catechesi, famiglia, scuola, oratorio) per una giornata studio sulla Media Education.Diretti e coordinati da Pier Cesare Rivoltella, docente dell’Università cattolica, insieme a un gruppo di esperti del Cremit (Centro di ricerca sull’educazione ai media, all’informazione e alla tecnologia), è emerso che la Media Education non riguarda più il solo mondo della scuola, ma coinvolge pienamente l’extrascolastico.A fronte di una conclamata “realtà virtuale”, che di fatto non esiste, si deve piuttosto parlare di “realtà aumentata” che si prolunga nella tecnologia; una tecnologia portatile, presente e invisibile, che coinvolge la gran parte dei ragazzi (nativi digitali). I nuovi media (come il cellulare e gli applicativi dei Social Network) stanno spostando il baricentro delle pratiche individuali e sociali verso l’informale. Proprio qui l’intervento pastorale può (o deve) inserirsi in termini educativi ed evangelici. Là dove la scuola sembra accusare “un ritardo” e la famiglia “un disagio”, lì si inserisce l’opera dell’educatore preparato.Così il compito della Media Education diventa non solo risorsa, ma impegno morale: dal “fare i media” (giornale on line dell’oratorio, il blog, il canale Youtube o la Web-radio) si passa e “fare con i media” (il podcasting per la catechesi, Sms e Twitter per la comunicazione, Facebook per l’aggregazione e il gruppo, lo streaming per la comunicazione liturgica) per poi “riflettere sui media”: quale volto e quale identità in Facebook? Quale verità nella rete? Quali possibilità di promozione dell’uomo? Quale idea del bene e del male? Quale spiritualità?Proposte ed esperienze, in parte attuate, che già insegnano, ma che chiedono la possibilità di mettersi in rete per creare uno stile operativo sempre più comune. A che punto siamo? Forse alla tanto declamata urgenza manca ancora la pronta volontà per agire soprattutto nella prospettiva di una seria formazione, non solo degli operatori pastorali, ma anche dei singoli presbiteri, a partire dai seminari.Siamo perciò chiamati a diventare da partecipanti a “partecip-attivi”, da spettatori a “spett-autori”.