Il sindaco di Firenze e il sacerdote cremonese al centro del secondo incontro del ciclo dell'Ambrosianeum sui grandi testimoni del Novecento
Redazione
29/05/2008
di Silvio MENGOTTO
Ieri alla Fondazione Ambrosianeum si è svolto il secondo incontro del ciclo dedicato ai grandi testimoni del Novecento. A tema “la sfida della pace”, attraverso le figure di Giorgio La Pira e don Primo Mazzolari.
Per il presidente dell’Ambrosianeum Marco Garzonio, entrambi hanno posto le basi per il futuro seminando valori, come quello della pace, che resistono ai profondi cambiamenti dei tempi. Per questo hanno avuto una profonda valenza profetica.
Secondo il primo relatore Mario Primicerio, mentre la società di oggi spinge alla deresponsabilizzazione, La Pira ha insegnato la responsabilità e la profezia. Ancora oggi si ha bisogno di una Chiesa profetica che cerchi «il dito di Dio sotto la scorza dei fatti».
La chiave di lettura di La Pira è il suo essere operatore di pace. All’Assemblea costituente sperimenta il metodo del dialogo con le altre culture antifasciste: un laboratorio da cui nasce l’articolo 11, unico al mondo, dove, con un verbo attivo, si afferma che l’Italia “ripudia la guerra”.
Nel 1951 La Pira viene eletto sindaco di Firenze e inizia una riflessione profonda. Nel 1954 a Ginevra sbalordisce presentandosi come «ambasciatore di tutte le città del mondo». Di fronte al pericolo atomico le città «non vogliono morire», perché appartengono alle generazioni future.
Nasce l’iniziativa di mettere in rete le capitali del mondo attraverso una diplomazia informale, e come presidente delle città unite La Pira svolge importanti iniziative per la pace, cercando convergenze tra le tre grandi religioni monoteiste.
La guerra è uno strumento inservibile, pronto per «l’archeologia delle stupidità dell’uomo». Va ricordato poi il dialogo di La Pira con l’Europa e la soluzione diplomatica, anticipata di otto anni, per la pace nel Vietnam.
Presentando la figura di Mazzolari, Massimo De Giuseppe trova punti di incrocio con La Pira su due temi essenziali: il dialogo e la giustizia sociale, che si connette alla pace internazionale.
Mazzolari anticipa il pacifismo cattolico. Con il trascorrere del tempo e dei fatti mette in discussione la guerra giusta e difensiva sino alla pubblicazione del libro manifesto Tu non uccidere del 1955, frutto di una lunga meditazione e dato alle stampe per il nuovo clima di apertura.
L’esperienza in trincea nel 1918, come cappellano militare, lo porta a un cammino di riflessione. Dalla prima guerra mondiale alla seconda, le vittime civili, non militari, aumentano sino al 80%. Mazzolari afferma che «la nostra arma di difesa è la giustizia sociale più che l’atomica».
Aderisce allo spirito resistenziale e rimanda al dialogo quale strumento fondamentale per la costruzione della pace. È lui a riflettere e a promuovere l’obiezione di coscienza, riconoscendo ai protestanti atti di coraggio che i cristiani non hanno saputo fare.
L’azione per la pace non può esaurirsi nelle preghiere, ma deve prendere posizione, specie alla presenza della bomba atomica. Nel 1957 scrive la storia dell’onesto Giovanni, un missile atomico obiettore di coscienza che, per non compiere la missione distruttiva sull’umanità, decide di suicidarsi.