Solennità della Natività di N.S. Gesù Cristo. Messa del giorno, Milano, Duomo – 25 dicembre 2022
- Quelli che hanno il diritto di essere tristi.
C’erano in quella regione alcuni pastori che pernottando all’aperto vegliavano tutta la notte.
A Natale è obbligatorio essere felici. Tutti devono dire: auguri per le feste e per l’anno prossimo.
Tutti devono avere una risposta quando ti chiedono: dove vai per Natale. Tutti devono avere dei vestiti nuovi e quando ti vedono tutti devono dirti: ti sta proprio bene.
Sulla tavola, poi, ci devono essere cose speciali, piatti originali, vini eccellenti, dolci in abbondanza.
A Natale è obbligatorio essere felici.
Ma quella notte i pastori erano di quelli che avevano il diritto di essere tristi.
Erano fuori, di notte, per tutta la notte, all’aperto. Non la casa accogliente, ma essere fuori, nessuna casa, non qualche ora di divertimento, ma tutta la notte di fatica e di noia. Facevano la guardia al loro gregge. Gli animali che diventano padroni, e i padroni che devono servire. Fuori, per tutta la notte, tutti uomini.
Avevano diritto di essere tristi. Non erano tristi per un qualche capriccio, non erano tristi perché avevano chi sa che pretese. Il fatto è che mentre tutti erano in casa, loro erano fuori all’aperto; tutti erano in compagnia e loro erano con le pecore; tutti erano a tavola con buon vino e piatti speciali, e loro erano là a vegliare.
Avevano delle buone ragioni per essere tristi. Molta gente ha buone ragioni per essere triste: quelli soli, quelli malati, quelli che guardano avanti e non vedono niente di promettente, quelli che guardano indietro e non possono raccontare niente di bello, quelli che hanno dentro un buio in cui non si vede alcuna luce.
C’è gente che ha buone ragioni per essere tristi.
- Un angelo del Signore.
Proprio ai pastori si dirige l’angelo del Signore, l’incaricato del messaggio. Proprio per chi ha buone ragioni per essere triste c’è una presenza che riempie di timore. Sono abituati alle cattive notizie quelli che stanno all’aperto tutta la notte. Quando viene un angelo di dicono: “e adesso che cosa c’è ancora?”.
Ma l’angelo visita la tristezza del mondo per annunciare una promessa improbabile: la grande gioia, il salvatore è il bambino nato nella città di Davide, dove non c’era posto per nascere se non in una mangiatoia.
Un bambino povero non può essere la soluzione dei problemi, potrebbe essere un inizio, potrebbe essere uno destinato come tanti poveri alla sconfitta, alla violenza, a una vita grama.
Invece l’angelo del Signore annuncia la presenza di un salvatore potente, che infonde la gioia della salvezza in tutto il popolo.
L’angelo rivolge l’appello alla fede, alla fiducia. Non ci sono garanzie di successo, piuttosto inviti alla speranza. Non ci sono risultati immediati, piuttosto percorsi di pazienza, finché cresca il bambino e la sua vita segni la strada. Non è garantita la popolarità a chi si affida all’annuncio dell’angelo, piuttosto un’intima persuasiva gioia.
L’angelo non ha molte parole per consolare quelli che hanno buone ragioni per essere triste, piuttosto intona un cantico e irradia una luce che avvolge la vita dei pastori.
L’angelo non ha argomenti per convincere, piuttosto invita al cammino.
Le persone che hanno buone ragioni per essere tristi, forse sono diventate anche scettiche: ne hanno visto tante!