Per la ministra della Giustizia Marta Cartabia, intervenuta in un convegno nell’ateneo per la presentazione dei risultati del progetto europeo “Re-Justice”, è la risposta adeguata al generale bisogno di giustizia
«La giustizia riparativa è una risposta più adeguata a quel bisogno di giustizia che noi tutti sentiamo di fronte a fatti piccoli o grandi che segnano la vita delle persone e dei popoli». E che però ci pone di fronte a un «nuovo percorso, tutto da scoprire», poiché implica un «totale cambio di paradigma» «complementare», «trasversale» all’esecuzione della pena. Sono alcuni passaggi del discorso della ministra della Giustizia Marta Cartabia, intervenuta lunedì 14 marzo a conclusione del convegno nazionale «Giustizia riparativa e formazione della magistratura», nel corso del quale sono stati presentati i risultati finali del progetto di ricerca «Re-Justice. Sustainable training in a challenging field», avviato nel 2019 in quattro Paesi – Belgio, Italia, Grecia, Spagna – e finanziato dal Programma Giustizia dell’Unione Europea.
Una risposta alla guerra
«Siamo abituati a una giustizia della terzietà, equidistante dalle parti – ha continuato -. La sfida culturale più impressionante della giustizia riparativa è l’invito all’avvicinamento, al sedersi a un tavolo comune». Come è stato fatto in occasione della Dichiarazione di Venezia, «firmata all’unanimità da tutti i ministri della Giustizia del Consiglio d’Europa, tra cui anche russi e ucraini», ha detto Claudia Mazzucato, docente di Giustizia riparativa in Cattolica e tra i coordinatori del progetto. «In questo momento di tenebre che sembrano invadere di nuovo l’Europa, la giustizia riparativa può essere una risposta alla guerra» in grado di fermare il «male in corso», dal momento che è il «tentativo di fare giustizia con mezzi pacifici: l’incontro, il dialogo, il confronto». E «ci dà consolazione poter parlare oggi, durante una guerra alle porte dell’Unione Europea, di una giustizia senza violenza». Non a caso, ha ribadito la ministra della Giustizia Cartabia, «mettersi nei panni, immedesimarsi nel ruolo dell’uno e dell’altro è uno strumento decisivo». Serve, però, anche uno «sviluppo culturale intorno a questo capitolo nuovo, ma al tempo stesso antico, della giustizia, per soddisfare questo bisogno di ricomporre il tessuto dei rapporti lacerati dal reato».
La missione della Cattolica
Del resto, per il rettore Franco Anelli, che con i suoi saluti istituzionali ha avviato i lavori del convegno, «la giustizia riparativa evoca tre archetipi – giustizia, vendetta, perdono – che attraversano la storia dell’umanità e sono all’origine della nostra cultura». Uno strumento innovativo che, nel mettere a confronto vittima e reo, «non è un atto di clemenza, di perdonismo ma richiede tanto la capacità di gestire dinamiche complesse quanto la convergenza di sensibilità molto elevate», ha detto il rettore Franco Anelli: «Re-Justice, oltre a diffondere la riflessione sulla giustizia riparativa con l’obiettivo di ricostruire quel dialogo tra vittima e autore del reato, è un progetto di terza missione dell’Ateneo che invera il principio di trasmissione ed elaborazione di conoscenze».
Per il preside della facoltà di Giurisprudenza Stefano Solimano è in atto una «rivoluzione» poiché la giustizia riparativa crea uno «spazio costruttivo» nell’ambito della giustizia penale. E il progetto Re-Justice indica che stiamo lavorando «per un migliore diritto al fine di fornire ai magistrati una conoscenza approfondita dei mezzi costruttivi e lasciare così alle nuove generazioni un mondo orientato alla giustizia».
Dal suo canto il preside della facoltà di Scienze politiche e sociali Guido Merzoni ha ricordato come la Cattolica sia stata la prima a introdurre nell’anno accademico 2016-2017 un insegnamento dedicato proprio alla giustizia riparativa. Un’attenzione alla materia confermata dalla conclusione, qualche settimana fa, del ciclo di incontri «Conflitto e fratellanza» che ha coinvolto alcuni studenti dell’Ateneo e i detenuti del carcere di Opera. Questo perché la giustizia riparativa è soprattutto fatta di «esperienza» e «dialogo» tra le parti. Infatti, ha fatto eco Antonio Albanese, direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Ateneo, «essa comporta un cambio di prospettiva della giustizia perché pone al centro persone desiderose di domanda di giustizia». Ecco perché, ha precisato, il direttore dell’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale Gabrio Forti la giustizia riparativa è una giustizia complementare. «Una complementarità sintetizzata dalla parola incontro che non è solo incontro tra autore e vittima ma anche con la comunità». E che rimanda a un altro significato. «Per dirla con le parole di Hannah Arendt, è “soliloquio con se stessi”, capacità di parlare a se stessi», che è altro non è se non la «base comune di quelle skills non tecniche di cui deve dotarsi la magistratura». E che in sostanza è l’obiettivo di Re-Justice: «Offrire al giudicante uno sguardo nuovo per ridurre quella “solitudine” che generalmente accompagna il magistrato», ha specificato il professor Forti.
Non pareggia i conti
Il convegno è entrato nel vivo con gli interventi di tre presidenti emeriti della Corte Costituzionale. «Con la riforma, la legge 134 del 2021, la giustizia riparativa entra a pieno titolo nel sistema di giustizia penale», ha specificato Giorgio Lattanzi, attualmente presidente della Scuola Superiore della Magistratura. Per la sua attuazione «la legge prevede un’autorizzazione di spesa di oltre 4 milioni di euro: un dettaglio non secondario, perché in passato anche la mancanza della necessaria copertura finanziaria ha impedito che si procedesse in questa direzione». Secondo il suo predecessore alla Scuola Superiore della Magistratura Gaetano Silvestri «sarà importante formare gli operatori affinché la vittima trovi alla fine un reale soddisfacimento, le partiche non scivolino verso un mieloso perdonismo e i rei non aderiscano con la speranza magari di ottenere qualche beneficio». Valerio Onida, già presidente della Scuola Superiore della Magistratura, ha sottolineato che «la giustizia riparativa introduce un aspetto nuovo» poiché «non tende a pareggiare i conti con una sanzione adeguata al male, ma coinvolge il reo a porvi rimedio, tenendo conto della vittima e del tessuto sociale che ha lacerato con la sua condotta». Finora, ha affermato Onida, «la giustizia ripartiva ha trovato espressione in casi eclatanti, come i delitti di terrorismo, nei quali le implicazioni sociali erano molto evidenti. Ora si tratta di portare questa logica nei procedimenti ordinari».
Tutto ciò rimanda a una fase di passaggio per la giustizia in cui i magistrati sono chiamati a rivestire un ruolo chiave. Dal progetto Re-Justice, ha precisato la professoressa Mazzucato, emerge «una immagine bellissima della magistratura, che deve riempire di fiducia i cittadini: non solo in Italia, ma anche in Grecia e in Spagna, i magistrati che hanno contributo al progetto ci hanno rivelato la loro fame e sete di giustizia e il loro desiderio di offrire alle persone un servizio». Si tratta, ha aggiunto, «di un’indicazione importantissima per il legislatore delegato impegnato a lavorare sull’efficienza della giustizia penale».
Il momento giusto
Pertanto, ha dichiarato Marta Cartabia, è indicativo che finora «tutte le proposte presentate in Parlamento in tema di giustizia riparativa non abbiano incontrato resistenze e suscitato reazioni». Ciò non vuol dire che «non accadranno momenti di tensione», ma significa che il «dibattito è scevro da pregiudizi» ed è quindi il «momento giusto per intervenire anche con percorsi che partano dalla formazione. Solo così si può sviluppare questo nuovo pilastro della giustizia». Per questo «facciamo conoscere correttamente la giustizia riparativa e accompagniamola con un lavoro educativo, insegnando sin dalla scuola materna come gestire i conflitti». Ma anche attraverso «le università, come sta facendo la Cattolica» con insegnamenti dedicati alla materia. «Questo è l’orizzonte dove si inserisce il capitolo nuovo della giustizia riparativa». Si tratta di un «lavoro che comporta un investimento culturale a lungo termine ma credo che sia il più promettente, innovativo e adeguato per far fronte a quell’esigenza inestinguibile di giustizia» che da sempre pervade l’umanità.
Il progetto
Durante il convegno sono stati illustrati i risultati del progetto “Re-Justice” da parte dei penalisti dell’Università Cattolica, Enrico Maria Mancuso e Gianluca Varraso, di Laura Hein, Policy Officer, European Forum for Restorative Justice, di Diletta Stendardi, avvocato e mediatrice penale, di Gian Luigi Gatta, comitato direttivo della Scuola Superiore della Magistratura e docente di Diritto penale all’Università degli Studi di Milano. Il progetto “Re-Justice” è partito a novembre 2019 e in Italia ha coinvolto 24 magistrati.
Grazie a quattro istituti universitari – la Katholieke Universiteit di Lovanio, coordinatrice del progetto, l’Università Cattolica di Milano (con l’Alta Scuola “Federico Stella” sulla Giustizia Penale e il Dipartimento di Scienze giuridiche), l’Aristotle University of Tessaloniki, l’Universidad Carlos III di Madrid – e alle Scuole Superiori della Magistratura di Belgio, Italia, Grecia e Spagna, “Re-Justice” ha accresciuto conoscenze, capacità, competenze in merito all’applicazione della giustizia riparativa nei quattro Paesi partecipanti.
Inoltre con il contributo dell’European Judicial Training Network, la rete delle scuole della magistratura europee, e lo European Forum for Restorative Justice, il progetto in due anni di ricerche, sperimentazioni didattiche, formazione specialistica on the job, ha messo in dialogo giudici e pubblici ministeri, studiosi, mediatori e facilitatori, avvocati e altri soggetti, offrendo alla magistratura europea gli strumenti necessari per lo sviluppo di partiche riparative complementari ai percorsi penali.
Il progetto “Re-Justice” ha ricevuto in Italia un forte impulso dalla riforma in materia di giustizia penale. La legge n.134, approvata dal Parlamento il 27 settembre 2021, inserisce un ampio quadro di riferimento sulla giustizia ripartiva, applicando nel nostro Paese la Direttiva europea del 2012 in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e accogliendo la Raccomandazione 2018 del Consiglio d’Europa e la Dichiarazione di Venezia approvata all’unanimità nel dicembre 2021 dai ministri della Giustizia degli Stati membri del Consiglio d’Europa, su impulso proprio dell’Italia.