Primo giorno di scuola dei ragazzini degli insediamenti nelle aree dismesse di via Rubattino
di Pino NARDI
Redazione
La campanella è suonata anche per loro. Come tutti i bambini, entrano per mano con i genitori e varcano la porta della scuola elementare, con l’emozione del primo giorno. Mercoledì 16 settembre, via Pini, zona Lambrate. Qui 8 ragazzini rom romeni dei campi insediati nella zona di via Rubattino sono stati accolti con il sorriso da dirigenti scolastici e insegnanti. Un gesto che dice della necessità di tessere rapporti umani, al di là di passaporto o storia personale. Un «ben arrivati e buon anno» sui banchi per potere anche loro avere una chance di futuro, di conoscenza, di cultura, per essere cittadini fino in fondo. E i genitori che, con un semplice «grazie tante», esprimono la loro riconoscenza. Anche così si fa integrazione.
Quest’anno nel circolo di scuole che comprende anche quelle di via Feltre e via Cima in tutto saranno 36 i bambini rom distribuiti nelle diverse classi, insieme anche agli altri minori stranieri, evitando di creare ghetti. In tutto 198 su 911 iscritti, circa il 18%.
Un’esperienza già al secondo anno, visto che dal dicembre scorso erano già stati inseriti 6 ragazzini rom. «Un’esperienza certo faticosa: quando arrivano bambini nuovi di origine straniera ci sono tutte le difficoltà del caso – sottolinea Barbara Bernini, insegnante di religione e funzione strumentale area inserimento alunni stranieri (nella foto sopra) -. L’anno scorso siamo stati aiutati molto dalle associazioni che operano sul territorio: quando i bambini hanno bussato alla porta eravamo anche un po’ spaventati, perché non avevamo esperienza in questo campo. Un’esperienza, però, sicuramente positiva, per i minori inseriti, ma anche per gli altri, che sono stati educati non solo a conoscere un popolo diverso, ma anche al significato di solidarietà, stare insieme, aiutarsi».
«La difficoltà è data dal fatto che i bambini sono tanti, le classi numerose e alcuni di loro non parlano l’italiano, c’è chi è già andato a scuola e chi no – continua Barbara -. Quindi inizialmente hanno fatto fatica a stare seduti ai banchi. Però ci si attrezza. E poi sono venuti tutti volentieri a scuola. I genitori sono contenti, anche perché il primo passo per l’integrazione è venire a scuola, per potersi inserire nella società».
Il doblò bianco che accompagna tutte le mattine i bambini a scuola è guidato dai volontari dei Padri Somaschi e della Comunità di Sant’Egidio. Li vanno a prendere nelle quattro aree dismesse di via Rubattino, zona di “storico” insediamento rom: già tre anni fa c’era un campo malmesso, poi sgomberato. Da lì molti sono andati alla Bovisasca due anni e mezzo fa, in un campo molto grande. Dopo l’ennesimo sgombero sono tornati qui, non più all’aperto, ma al chiuso. Poi, a seguito degli sgomberi al cavalcavia di Bacula, il campo si è riempito. Oggi sono circa 150 persone, con i 36 minori, tutti a scuola regolarmente.
Vivono in cantine di palazzi e fabbriche abbandonati, tra pareti ammuffite e poca aria. Ci sono anche neonati con i biberon in stanze che, nonostante una situazione così precaria, hanno una parvenza di dignità, anche di “normalità”. Le biciclette dei ragazzini devono fare lo slalom nel fango tra i topi che qui scorazzano.
Il padre di famiglia, romeno, grandi baffi neri, da 7 anni a Milano, qualche lavoretto nei cantieri, racconta la difficoltà di trovare lavoro: oltretutto perché non ha la patente. Oppure il 18enne con il sorriso contagioso, grande giocatore in attacco nelle partite organizzate con i volontari, «anche se con pochi gol segnati», dice. Schegge di storie di vita, di chi nonostante tutto vuole rimanere in città, integrarsi, vivere un’esistenza se possibile “normale”. A partire dai banchi di scuola. La campanella è suonata anche per loro. Come tutti i bambini, entrano per mano con i genitori e varcano la porta della scuola elementare, con l’emozione del primo giorno. Mercoledì 16 settembre, via Pini, zona Lambrate. Qui 8 ragazzini rom romeni dei campi insediati nella zona di via Rubattino sono stati accolti con il sorriso da dirigenti scolastici e insegnanti. Un gesto che dice della necessità di tessere rapporti umani, al di là di passaporto o storia personale. Un «ben arrivati e buon anno» sui banchi per potere anche loro avere una chance di futuro, di conoscenza, di cultura, per essere cittadini fino in fondo. E i genitori che, con un semplice «grazie tante», esprimono la loro riconoscenza. Anche così si fa integrazione.Quest’anno nel circolo di scuole che comprende anche quelle di via Feltre e via Cima in tutto saranno 36 i bambini rom distribuiti nelle diverse classi, insieme anche agli altri minori stranieri, evitando di creare ghetti. In tutto 198 su 911 iscritti, circa il 18%.Un’esperienza già al secondo anno, visto che dal dicembre scorso erano già stati inseriti 6 ragazzini rom. «Un’esperienza certo faticosa: quando arrivano bambini nuovi di origine straniera ci sono tutte le difficoltà del caso – sottolinea Barbara Bernini, insegnante di religione e funzione strumentale area inserimento alunni stranieri (nella foto sopra) -. L’anno scorso siamo stati aiutati molto dalle associazioni che operano sul territorio: quando i bambini hanno bussato alla porta eravamo anche un po’ spaventati, perché non avevamo esperienza in questo campo. Un’esperienza, però, sicuramente positiva, per i minori inseriti, ma anche per gli altri, che sono stati educati non solo a conoscere un popolo diverso, ma anche al significato di solidarietà, stare insieme, aiutarsi».«La difficoltà è data dal fatto che i bambini sono tanti, le classi numerose e alcuni di loro non parlano l’italiano, c’è chi è già andato a scuola e chi no – continua Barbara -. Quindi inizialmente hanno fatto fatica a stare seduti ai banchi. Però ci si attrezza. E poi sono venuti tutti volentieri a scuola. I genitori sono contenti, anche perché il primo passo per l’integrazione è venire a scuola, per potersi inserire nella società».Il doblò bianco che accompagna tutte le mattine i bambini a scuola è guidato dai volontari dei Padri Somaschi e della Comunità di Sant’Egidio. Li vanno a prendere nelle quattro aree dismesse di via Rubattino, zona di “storico” insediamento rom: già tre anni fa c’era un campo malmesso, poi sgomberato. Da lì molti sono andati alla Bovisasca due anni e mezzo fa, in un campo molto grande. Dopo l’ennesimo sgombero sono tornati qui, non più all’aperto, ma al chiuso. Poi, a seguito degli sgomberi al cavalcavia di Bacula, il campo si è riempito. Oggi sono circa 150 persone, con i 36 minori, tutti a scuola regolarmente.Vivono in cantine di palazzi e fabbriche abbandonati, tra pareti ammuffite e poca aria. Ci sono anche neonati con i biberon in stanze che, nonostante una situazione così precaria, hanno una parvenza di dignità, anche di “normalità”. Le biciclette dei ragazzini devono fare lo slalom nel fango tra i topi che qui scorazzano.Il padre di famiglia, romeno, grandi baffi neri, da 7 anni a Milano, qualche lavoretto nei cantieri, racconta la difficoltà di trovare lavoro: oltretutto perché non ha la patente. Oppure il 18enne con il sorriso contagioso, grande giocatore in attacco nelle partite organizzate con i volontari, «anche se con pochi gol segnati», dice. Schegge di storie di vita, di chi nonostante tutto vuole rimanere in città, integrarsi, vivere un’esistenza se possibile “normale”. A partire dai banchi di scuola. – – «Aiutiamoli a inserirsi per gruppi familiari» – «Con gli sgomberi non si risolve nulla: puntare all’integrazione» – Mille colori o uno solo?