Le famiglie, gli insegnanti, le parrocchie, gli oratori e le Acli si sono attivati per fornire cibi caldi, bevande e coperte. E c'è chi ha aperto la propria casa per evitare loro di trascorrere la notte all'addiaccio
di Filippo MAGNI
Redazione
Le famiglie di Lambrate hanno aperto le loro case ai rom sfollati da via Rubattino. Un buon gruppo dei nomadi allontanati ieri dalle loro baracche si sono recati, nel pomeriggio, alla scuola di via Pini per chiedere aiuto. «È un luogo che riconoscono come punto di riferimento perché lì vanno a scuola i loro figli», spiega don Paolo Poli, coadiutore della Comunità pastorale S. Martino e Ss. Nome di Maria.
Le insegnanti, disorientate, hanno chiamato la parrocchia per avere indicazioni sul da farsi. La richiesta di aiuto, nel frattempo, ha coinvolto anche i genitori recatisi a scuola per prendere i figli al termine delle lezioni. Il risultato: in molti si sono ritrovati ai cancelli dell’Istituto per fornire supporto agli sfollati. «Qualcuno ha portato alimenti – spiega il sacerdote -, altri piatti caldi e bevande, altri ancora coperte. C’è anche chi ha aperto le porte della propria casa per accogliere le famiglie rom».
Secondo don Poli non si è trattato di un sentimento improvviso, nato sull’onda dell’emozione: «Le famiglie che hanno aiutato i rom sono le stesse che da più di un anno hanno imparato a conoscerli mediante il progetto di integrazione attivato nel quartiere. Sono quelle i cui figli sono compagni di classe dei giovani rom, quelle che hanno seguito i corsi di approfondimento e di socializzazione nei confronti della realtà dei nomadi».
Valerio Pedroni, coordinatore dell’équipe di strada Segnavia dei Padri Somaschi, conferma che «diverse realtà si sono mobilitate per aiutare gli sfollati: le suore, le parrocchie, gli oratori, le Acli, gli insegnanti, le famiglie dei ragazzi che frequentano la scuola Pini». Il quartiere si è mosso, ma non è bastato. «Alcune famiglie hanno trovato ospitalità a Lambrate – prosegue Pedroni -, ma molti hanno passato la notte all’addiaccio, protetti solo dalle campate del cavalcavia». La richiesta di alloggi, tende, stanze, locali riscaldati in cui passare la notte, aggiunge don Poli, «è ancora alta».
Non ha dubbi, il sacerdote: «La situazione nel campo rom era improponibile, un intervento era necessario. Ma è un peccato che non sia stato preservato neanche minimamente il percorso di integrazione che procedeva con ottimi frutti da più di un anno». Le famiglie di Lambrate hanno aperto le loro case ai rom sfollati da via Rubattino. Un buon gruppo dei nomadi allontanati ieri dalle loro baracche si sono recati, nel pomeriggio, alla scuola di via Pini per chiedere aiuto. «È un luogo che riconoscono come punto di riferimento perché lì vanno a scuola i loro figli», spiega don Paolo Poli, coadiutore della Comunità pastorale S. Martino e Ss. Nome di Maria.Le insegnanti, disorientate, hanno chiamato la parrocchia per avere indicazioni sul da farsi. La richiesta di aiuto, nel frattempo, ha coinvolto anche i genitori recatisi a scuola per prendere i figli al termine delle lezioni. Il risultato: in molti si sono ritrovati ai cancelli dell’Istituto per fornire supporto agli sfollati. «Qualcuno ha portato alimenti – spiega il sacerdote -, altri piatti caldi e bevande, altri ancora coperte. C’è anche chi ha aperto le porte della propria casa per accogliere le famiglie rom».Secondo don Poli non si è trattato di un sentimento improvviso, nato sull’onda dell’emozione: «Le famiglie che hanno aiutato i rom sono le stesse che da più di un anno hanno imparato a conoscerli mediante il progetto di integrazione attivato nel quartiere. Sono quelle i cui figli sono compagni di classe dei giovani rom, quelle che hanno seguito i corsi di approfondimento e di socializzazione nei confronti della realtà dei nomadi».Valerio Pedroni, coordinatore dell’équipe di strada Segnavia dei Padri Somaschi, conferma che «diverse realtà si sono mobilitate per aiutare gli sfollati: le suore, le parrocchie, gli oratori, le Acli, gli insegnanti, le famiglie dei ragazzi che frequentano la scuola Pini». Il quartiere si è mosso, ma non è bastato. «Alcune famiglie hanno trovato ospitalità a Lambrate – prosegue Pedroni -, ma molti hanno passato la notte all’addiaccio, protetti solo dalle campate del cavalcavia». La richiesta di alloggi, tende, stanze, locali riscaldati in cui passare la notte, aggiunge don Poli, «è ancora alta».Non ha dubbi, il sacerdote: «La situazione nel campo rom era improponibile, un intervento era necessario. Ma è un peccato che non sia stato preservato neanche minimamente il percorso di integrazione che procedeva con ottimi frutti da più di un anno». – – Lo sgombero – Il commento di don Roberto Davanzo