I test antidoping hanno fatto notevoli progressi, ma le squadre devono aumentare il controllo sui loro atleti. Sempreché l'uso di Epo sia confermato...
Redazione
21/07/2008
di Mauro COLOMBO
«Sono pulito. Tornerò, e sarò ancora più forte». Battute di un copione già recitato da altri, quelle pronunciate da Riccardo Riccò all’indomani dell’esclusione dal Tour de France e della notte trascorsa in una gendarmeria, dopo che le analisi antidoping avevano rilevato tracce di Epo nel sangue del corridore modenese, vincitore di due tappe e, fino a quel punto, autentica “sensazione” della corsa.
Saranno le controanalisi – invocate da Riccò – a dire se l’esito di quei test èdavvero sicuro al 100% o se lascia margini di dubbio, come lui stesso fa intendere. Di conseguenza, se quanto affermato da Riccò costituisce il grido di innocenza di un atleta ingiustamente messo sotto accusa, oppure l’appendìce di un bluff che alla fine è stato portato allo scoperto.
Sempreché siano sufficienti, quelle controanalisi. Tanto per dire, tra ricorsi, appelli e arbitrati vari, c’è voluto più di un anno perché l’albo d’oro del Tour de France, all’altezza del 2006, riempisse la casella del vincitore con il nome dello spagnolo Pereiro: vincitore a tavolino dopo la squalifica dell’americano Landis, maglia gialla a Parigi.
Dal caso-Riccò, al momento, si possono trarre due considerazioni di segno opposto. Il bicchiere mezzo pieno è rappresentato proprio dalla scoperta – ancora da confermare, beninteso – della “Cera”, Epo di terza generazione e di fresca invenzione, nel sangue di Riccò. La sensazione è che la “forbice” temporale tra la produzione di nuove sostanze dopanti e la capacità dei test di accertarle si sia ridotta. In questo senso, in Francia sono più avanti di noi: dobbiamo metterci alla pari.
Il bicchiere mezzo vuoto, invece, è dato dalla constatazione dello scarso potere di controllo delle squadre sugli atleti loro stipendiati. Se la positività di Riccò sarà confermata – e ammessa la buona fede del suo team, la Saunier Duval, che si è ritirata in massa dal Tour e poi licenziato Riccò e Piepoli -, non si può non notare come il doping, attraverso quel “sottobosco” di personaggi che circonda alcuni corridori, possa arrivare agli interessati senza che direttori sportivi, medici e massaggiatori ne abbiano sentore. Dunque, il livello di attenzione e di guardia va ancor più innalzato.