Redazione

di Mauro Colombo

L’unica invidiosa potrebbe essere la piccola Domitilla. Il suo fratellino Santiago aveva meno di due giorni di vita quando si è visto dedicare – con tanto di fotografia esibita sul traguardo – la vittoria nella durissima e prestigiosa tappa dell’Aprica. Ma con la collezione di maglie rosa che il suo papà ha portato a casa anche la primogenita di casa Basso può essere soddisfatta.

La nascita del secondo figlio ha idealmente suggellato il trionfale Giro d’Italia di Ivan Basso. Era partito come uno dei possibili vincitori, non come il favorito assoluto. Pesava, nelle considerazioni e nei pronostici della vigilia (e forse nei suoi stessi pensieri), il ricordo della débacle dello scorso anno nel giorno dello Stelvio. E invece, forte di una condizione frutto di allenamenti massacranti (compresa una “settimana di sopravvivenza” stile marines con tutto il team Csc), Basso ha preso di petto uno dei Giri più duri degli ultimi vent’anni e l’ha letteralmente “spianato”.

La sensazione che Basso ha trasmesso agli spettatori durante le frazioni più impegnative è stata proprio questa: mentre gli avversari percorrevano una ripida ascesa, lui viaggiava sul piano. Tanto agile, scorrevole, rotonda era la sua pedalata; tanto composta, misurata ed elegante era la sua postura; tanto tranquilla, serena, persino sorridente, era la sua espressione.

Tre vittorie di tappa, distacchi in classifica generale degni del Tour de France, al posto d’onore anche nella classifica a punti e in quella del Gpm. E poi, mai un calo di rendimento, una giornata-no, un passaggio a vuoto, sia in montagna che contro il tempo. Con queste credenziali Basso andrà al Tour cercando di sfruttare un’occasione d’oro: con rivali turbati (Ullrich) o addirittura privati della squadra (Vinokourov) dall’ultima tempesta-doping, può centrare la doppietta che lo proietterebbe nella storia.

Detto del secondo posto dello spagnolo Gutierrez Cataluña – una sorpresa che ha dato una dimensione internazionale a una classifica altrimenti dominata dagli italiani -, sul podio ritroviamo ancora (per la settima volta) Gilberto Simoni. Il guerriero trentino ha nel carattere la sua forza e la sua debolezza: in corsa l’aiuta a provarci sempre, a non mollare mai; fuori, lo spinge talvolta a trascendere nelle sue reazioni. Anche se sulla polemica con Basso che ha avvelenato gli ultimi due giorni del Giro resta difficile dare giudizi: la verità su quanto i due si sarebbero detti scendendo dal Mortirolo e poi salendo verso l’Aprica, la conoscono solo i diretti interessati.

I tapponi dolomitici hanno visto Damiano Cunego reagire orgogliosamente a una serie di prove incolori e Paolo Savoldelli difendersi per quanto gli è stato possibile: il quarto e il quinto posto raggiunti rispettivamente dal Piccolo Principe veronese e dal Falco bergamasco fotografano esattamente il loro Giro. Bocciato (definitivamente?) all’esame in rosa Danilo Di Luca, mentre Leonardo Piepoli ha forse sacrificato alla causa di Simoni ambizioni personali che avrebbero potuto andare al di là delle due vittorie di tappa.

Quattro vincitori diversi nelle ultime quattro edizioni del Giro: segno di vitalità, vivacità e imprevedibilità per una corsa che ha rinsaldato il suo legame affettivo con il pubblico. Dagli emigrati della Vallonia ai cicloamatori del San Pellegrino e del Mortirolo, dalla grande folla di Milano fino all’ ottima audience televisiva, un nuovo successo popolare. Come dice la canzone: un gran bel Giro.

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