Contestazioni all'accensione della fiaccola olimpica e minacce di esponenti politici di disertare la cerimonia di apertura a causa delle repressioni in Tibet. «La difesa dei diritti umani è sacrosanta - spiega Bruno Pizzul -, ma a pagare non deve essere lo sport, se poi si continua tranquillamente a fare affari con la Cina...»
Redazione
27/03/2008
di Mauro COLOMBO
A meno di 130 giorni dall’inaugurazione (8 agosto) quella che sembrava un’ipotesi lontana – il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino a causa della violenta repressione delle manifestazioni di protesta in Tibet – è diventata ora una minaccia reale.
Prima la contestazione inscenata a Olimpia da alcuni attivisti di Reporters sans Frontières durante l’intervento di Liu Qi, presidente del Comitato organizzatore dei Giochi, nel corso della cerimonia di accensione della fiaccola diretta in Cina.
Poi le parole del presidente francese Nicolas Sarkozy, pronto a disertare Pechino in mancanza di aperture da parte del Governo cinese. Il capo dell’Eliseo ha poi precisato di riferirsi all’assenza dalla cerimonia di inaugurazione e non al boicottaggio dei Giochi; ma in ogni caso la sua presa di posizione è stata significativa.
«Da qui all’inizio dei Giochi bisogna attendersi nuove proteste, soprattutto lungo il percorso della fiaccola olimpica – commenta Bruno Pizzul -. Quanto a Sarkozy, ha poi ridimensionato la portata delle sue dichiarazioni. Certo, il problema esiste, è giusto parlarne e le rivendicazioni in difesa dei diritti umani sono sacrosante: ma che a pagare sia lo sport è sbagliato, perché ne sconterebbero le conseguenze atleti che lavorano da quattro anni per questo appuntamento. E poi sarebbe anche inutile».
In che senso?
Ho seguito le precedenti edizioni dei Giochi parzialmente mutilate da boicottaggi contrapposti: Montreal 1974, Mosca 1980 e Los Angeles 1984. In nessun caso il boicottaggio ha giovato alla causa in nome della quale era stato deciso.
Qualcuno ha detto anche che bisognava pensarci prima di assegnare i Giochi a Pechino. Ma il presidente del Cio Rogge ha ribadito che quella scelta è stata giusta…
Beh, in effetti allora la situazione non era molto diversa da ora… Però “aprire” un Paese come la Cina non solo agli atleti, ma anche ai giornalisti, sarebbe salutare per tutti.
Potrebbe essere un segnale – come ancor prima di Sarkozy aveva dichiarato il presidente dell’Europarlamento Pottering – la rinuncia degli esponenti politici a partecipare alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi…
Sì, a patto che sia seguita da comportamenti coerenti anche sul piano delle relazioni internazionali. Sarebbe infatti profondamente ipocrita ergersi a paladini di cause nobili come la difesa dei diritti umani solo in occasione dei Giochi, sfruttando l’enorme cassa di risonanza dello sport, e poi continuare tranquillamente a fare affari economici con la Cina come se niente fosse…