Redazione
Un calcio che non ha rispetto nè memoria aveva messo
alla berlina i due tecnici dopo le ultime non esaltanti esperienze
in Italia. Ma i risultati di questa stagione danno ragione
a due validi professionisti e, soprattutto, a due persone serie
di Claudio Arrigoni
Quattro scudetti in quattro squadre diverse e in tre nazioni differenti. Basterebbe questo dato a significare la grandezza di un tecnico calcistico. Ma c’è la puzza sotto il naso, c’è il gioco, c’è una boccetta di acqua santa che ha permesso battute e lazzi ai soliti moralisti da strapazzo, c’è qualche frase magari non comprensibilissima. Ci sono tutte queste cose e Giovanni Trapattoni è un tecnico vecchio, finito, non all’altezza dei tempi.
E invece lui vince tutto con Juventus, Inter, Bayern (in Germania) e Benfica (in Portogallo), mentre altri che manco si sognano di avere quel tipo di curriculum sono incensati come tecnici che insegnano calcio. Il Trap diventa il “sempliciotto” di Cusano Milanino, invece di essere considerato come uno dei più grandi tecnici della storia del calcio, uno che ha saputo sempre rimettersi in discussione, che quando poteva occupare una panchina al parco ha preferito prendere una valigia e andare in una nazione diversa, a imparare una nuova lingua. Lo prendono in giro per come parla quelli che al massimo riescono a dire quattro parole di inglese imparate alla scuola media. Il calcio è così, la memoria non è una virtù e il presente conta se sai utilizzare l’immagine come vuole la maggioranza.
Ai Mondiali in Corea il Trap ha avuto un attaccante strapagato (oggi passa più tempo in panchina che a giocare in una delle squadre più importanti d’Italia) che a pochi secondi dalla fine ha sbagliato a porta vuota un gol decisivo per il passaggio di un turno fondamentale, e poi chissà… Ma la colpa dell’esclusione dal Mondiale fu colpa sua. E giù a sghignazzare per una boccetta di acqua benedetta, splendido esempio di religiosità scoperto da una telecamera durante una gara.
Durante l’Europeo in Portogallo ha avuto il miglior giocatore italiano scoperto a sputare in faccia a un avversario, ma l’esclusione dal torneo fu colpa sua, certo. Questo è il calcio, fatto di particolari, si vinca o si perda. E Giovanni Trapattoni è da troppo nel calcio per non saperlo. Ecco perché la serenità è il suo tratto distintivo, la semplicità il suo marchio positivo. E la vittoria il suo obiettivo raggiunto come pochi altri nella storia sono stati capaci di fare.
Il calcio è anche quello che ha preso in giro un allenatore argentino con idee opinabili (la squadra conta più del super-campione, un po’ di – scarsi – giocatori dell’Inter valgono più di Ronaldo), solo perché qualche volta era arrivato secondo invece che primo. Si chiama Hector Cuper e a giudicarlo o criticarlo erano quelli che al massimo erano stati capaci di arrivare quarantesimi (su quaranta). Bravi, bravi.
E poi lo criticavano perché aveva preteso il rispetto di un contratto anche quando il suo datore di lavoro, Moratti (in questo comunque un gran signore, perbene e corretto), aveva deciso di cambiare strada. Legittimo. Come legittimo il fatto che quel contratto non era stato firmato con la pistola alla tempia e quindi andasse rispettato.
Ora Cuper si è preso la sua rivincita in Spagna, conducendo il Maiorca, già dato per spacciato, a una salvezza che ha del miracoloso. All’Inter aveva forse sbagliato e quell’ambiente non era il suo; ma come sempre lo sport lascia da parte chi magari ha il solo torto di non fare il furbo. E allora possiamo dirlo: viva il Trap, viva Hector.