Il 9° Rapporto Censis-Ucsi su “I media nell’era digitale”
a cura di Maria Michela NICOLAIS
«Che cosa c’è dietro l’espansione a macchia d’olio di Internet e del mondo digitale, utilizzato oggi in media dal 95% delle persone, di cui il 65% utilizza i social network?». A chiederselo è Giuseppe De Rita, presidente del Censis, presentando a Roma, il 13 luglio, il nono Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, dal titolo “I media personali nell’era digitale”. La risposta il sociologo l’ha trovata in un paradosso: «Nel momento in cui, dopo 50 anni di indiscusso primato del soggetto, comincia a dare segni di stanchezza l’individualismo, il fai-da-te, il primato dell’ego, e quindi trova spazio la ricerca di altre strade – come il rapporto comunitario, volontario, o un diverso rapporto con l’altro – nell’uso dei media emerge invece una dimensione di accentuazione della soggettività». Se a livello generale, in altre parole, «il primato del soggetto è in declino, nei media sta crescendo», e si rende evidente soprattutto nella tendenza alla «personalizzazione» dei palinsesti. «La soggettività innanzitutto – ha commentato De Rita – con una sorta di non-coscienza, tanto che il mezzo più credibile diventa Internet». Altra tendenza che emerge dal Rapporto, secondo il presidente del Censis, è «la crescita della dimensione della comunicazione in orizzontale», in virtù della quale i media digitali «trasmettono intersoggettività», a scapito però «della riflessione e dell’approfondimento».
La “reputazione” dei media
I giornalisti? «Molto competenti, ma poco indipendenti dal potere politico e finanziario». È l’identikit che emerge dal nono Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione. A illustrarne nel dettaglio i contenuti è stato Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, che tra le “novità” del Rapporto ha segnalato il fatto che gli italiani giudicano Internet “il mezzo più credibile” dal punto di vista informativo. Dal capitolo dedicato alla “reputazione” dei media, secondo il relatore emerge che «il giornalista non deve tradire chi lo ascolta o chi lo legge». Tra i media ad “alta reputazione”, figura la radio, giudicata «il mezzo più equilibrato, perché la voce aiuta a spersonalizzare il messaggio». I giornalisti televisivi e della carta stampata, invece, sono visti come «personaggi che non rappresentano più, ma creano la realtà, spesso con eccessive smanie di protagonismo». Sul piano generale, il Rapporto evidenza come «in nome del primato del soggetto non è più il mezzo che attrae, ma l’uso effettivo e la funzionalità del mezzo stesso che legittima una leadership». La scelta dei “media personali”, ha spiegato Roma, «è una scelta soggettiva molto integrata con la vita quotidiana di ciascuno, e basata sulla funzionalità». Nelle “diete mediatiche” degli italiani, infine, cresce la percentuale (46%) di chi non utilizza la carta stampata.
I “ruvidi reporter”
«Servono ancora i ruvidi reporter, capaci di passare il tempo a investigare e di scrivere in solitudine»: ne è convinto Paolo Garimberti, presidente della Rai, che ha confessato di provare «una certa nostalgia» per queste figure che rischiano di diventare un retaggio del passato, sostituiti invece da «show man dell’informazione», intenti a «scrivere editoriali, partecipare a trasmissioni televisive, tenere blog e pubblicare libri», salvo poi passare ben poco tempo nelle redazioni. A livello di “diete mediatiche”, ha osservato, «la tavola degli italiani è molto più imbandita di prima, e ciò è un bene, perché il pluralismo di fonti informative è una cosa sana per la democrazia, che non muore mai per eccesso di informazioni, semmai per il contrario». Nello stesso tempo, però, tale tendenza «è un male, perché la grande eterogeneità di fonti informative a cui ci abbeveriamo oggi fa sì che il controllo delle fonti sia molto difficile, e produce una diffusa irresponsabilità che porta a diffondere informazioni false». Garimberti, in particolare, ha stigmatizzato «il protagonismo dei protagonisti dell’informazione, che spesso prende il sopravvento sull’umile distacco e sulla capacità di stare nelle retrovie che dovrebbe caratterizzare ogni giornalista».
Competenze e deontologia
«Reimpaginare le competenze, mettendo l’accento sulla deontologia professionale». È l’appello rivolto ai giornalisti da Andrea Melodia, presidente dell’Ucsi. «Non possiamo rinunciare alla presenza di comunicatori professionisti, assolutamente essenziali per garantire un corretto uso del mondo delle informazioni», ha ammonito il relatore, soffermandosi nello stesso tempo sulla necessità di «recuperare autorevolezza rispetto al cittadino, che deve trovare spazio anche su Internet: non possiamo trovare né autorevolezza, né pluralismo su Internet, se non li coltiviamo». In secondo luogo, Melodia ha esortato ad evitare commistioni tra politica e giornalismo: «È necessario – ha detto – rispettare la distanza tra le due funzioni, a cominciare dal servizio pubblico, che dovrebbe continuare a essere garanzia di pluralismo». Entrando nel dettaglio del Rapporto, il presidente dell’Ucsi ha fatto notare come esso serva a «sfatare alcuni luoghi comuni», come quello che concepisce la televisione come «una tv per vecchi»: il 93% dei “consumatori” televisivi è infatti sotto i 30 anni. Dal Rapporto, inoltre, emerge che «non è Internet ad assorbire la tv, ma la tv che si appresta a valorizzare Internet, visto che il 40% del traffico in rete è fatto da video, ed è in continua crescita».