In fuga per la guerra con i francesi, la duchessa Beatrice di Savoia riparò nel capoluogo lombardo portando con sè la preziosa reliquia: fu, probabilmente, la prima ostensione pubblica dopo l'incendio della Sainte Chapelle di Chambery.

di Luca FRIGERIO
Redazione

C’è un profondo legame di fede che unisce la Chiesa ambrosiana alla Sacra Sindone. Nel 1578, com’è noto, san Carlo Borromeo si recò pellegrino a Torino per venerare quel «prezioso lenzuolo», sciogliendo così un voto che lo stesso arcivescovo di Milano aveva fatto nei giorni terribili della peste. Ma il rapporto tra la Sindone e la diocesi ambrosiana è ancora precedente. Alcuni scrittori e cronisti della prima metà del Cinquecento, infatti, raccontano della presenza della venerata reliquia proprio a Milano nella primavera del 1536. C’è un profondo legame di fede che unisce la Chiesa ambrosiana alla Sacra Sindone. Nel 1578, com’è noto, san Carlo Borromeo si recò pellegrino a Torino per venerare quel «prezioso lenzuolo», sciogliendo così un voto che lo stesso arcivescovo di Milano aveva fatto nei giorni terribili della peste. Ma il rapporto tra la Sindone e la diocesi ambrosiana è ancora precedente. Alcuni scrittori e cronisti della prima metà del Cinquecento, infatti, raccontano della presenza della venerata reliquia proprio a Milano nella primavera del 1536. Il 24 aprile di quell’anno, dopo un drammatico vagare a causa della guerra con la Francia, la duchessa Beatrice di Savoia riparò a Milano, portando con sé i suoi tesori più preziosi, tra i quali, per l’appunto, anche la Sindone. Nei giorni seguenti fu raggiunta dal marito, Carlo III: la coppia ducale, con tutto il suo seguito, fu ospitata nel castello di Porta Giovia da Cristina di Danimarca, rimasta vedova da neppure un anno, dopo la morte di Francesco II Sforza. La notizia che una così insigne reliquia era presente in città si diffuse rapidamente tra i milanesi, accrescendo in tutti il desiderio di poterla ammirare e venerare. Si decise allora di mostrare pubblicamente quel «sacratissimo lenzuolo dove fu involto il glorioso corpo di nostro Signore». In un primo tempo si pensò di esporre la Sindone sulla gradinata del Duomo, ma i lavori vennero ben presto fermati dalla stessa Beatrice che, come osservano i cronisti dell’epoca, «». La duchessa, infatti, aveva buone ragioni per evitare che il prezioso telo venisse direttamente a contatto con la folla dei fedeli: in passato, infatti, era già capitato che devoti troppo zelanti avessero strappato lembi della Sindone, magari confidando nei suoi poteri taumaturgici. Senza contare, inoltre, che l’antico sudario era stato “restaurato” da poco tempo, dopo il rovinoso incendio che aveva devastato, nel 1532, la Sainte Chapelle di Chambery dove esso era conservato. Questa di Milano, dunque, per quanto oggi ci è dato sapere, fu la prima grande ostensione pubblica della Sacra Sindone dopo quel grave incidente di cui ancor oggi porta i segni evidenti. Fu proposto allora di esporre il venerabile lino dagli spalti del castello sforzesco. Della cosa si occupò il governatore di Milano in persona, il conte Massimiliano Stampa, che fece realizzare una “balconata” sulla parte più avanzata del castello, il rivellino, in modo che la Sindone fosse visibile a tutti, e allo stesso tempo sicura e protetta. A quell’ostensione partecipò una folla immensa. Il Burigozzo, che quasi sicuramente fu testimone oculare di quel fatto, racconta «ch’era cosa incredibile da vedere tanto numero de gente». Un’osservazione, questa, che ritorna in un manoscritto della Biblioteca Ambrosiana, che riporta come davanti alla reliquia si accalcava «con grandissima reverentia, tutto el popolo et una infinità de forastieri, stimati in più di centomila anime». Si tratta di una cifra altissima, se si considera che nella prima metà del XVI secolo Milano aveva una popolazione inferiore ai 200 mila abitanti, e soprattutto, se si tiene conto che la Sindone venne esposta per una sola giornata, forse solo per qualche ora: molto probabilmente, anche se le cronache non sono concordi su questo punto, nel pomeriggio di domenica 7 maggio. Nel corso dell’esposizione della reliquia non si registrò alcun incidente, nonostante l’enorme affluenza di fedeli e pellegrini, e tutto si svolse con grande dignità «senza nessun strepito né disordino». L’ostensione, stando ai cronisti dell’epoca, fu anche testimone di alcuni fatti prodigiosi e miracolosi, cosicchè «nel scoprimento di questo Santo Lenzuolo furono liberati da’ spiriti maligni molti, ch’erano vessati da questi». Pochi giorni più tardi la duchessa Beatrice abbandonava Milano per rifugiarsi presso l’imperatore Carlo, suo fratello, mentre suo marito, il duca di Savoia, tentava un’ultima, disperata difesa dei suoi domini contro l’avanzare dei francesi. La Sacra Sindone riprendeva così a vagare, chiusa nel suo prezioso scrigno, portata a dorso di mulo, insieme ad altre venerande reliquie, «protettrice della casa ducale, antidoto ad ogni sorta di guai, palladio contro le calamità», come ricordava un membro della corte sabauda. – Un articolo più ampio e dettagliato, dedicato a questa vicenda, sarà pubblicato sul numero di maggio de IL SEGNO, il mensile della diocesi di Milano. –

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