Nel capoluogo lombardo Michelangelo Merisi nacque nel 1571 e si formò alla scuola del Peterzano. Un itinerario fra ispirazioni e capolavori, in occasione del quarto centenario della morte del grande pittore lombardo, fra le chiese di San Fedele e di San Marco, dall'Ambrosiana alla Pinacoteca di Brera.

di Luca FRIGERIO
Redazione

Nell’imminenza del quarto centenario della morte di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, che ricorrerà domenica prossima, 18 luglio, può essere interessante mettersi sulle tracce del maestro nella “sua” Milano. Sua perchè, come tutti ormai sanno, il grande pittore nacque proprio nel capoluogo lombardo, il 29 settembre del 1571, ricevendo quindi il nome del santo del giorno: l’arcangelo Michele, appunto. L’atto di battesimo, a lungo cercato, è stato infatti ritrovato tre anni or sono fra i documenti dell’Archivio storico diocesano di Milano, da cui si evince come la famiglia Merisi, pur originaria del borgo di Caravaggio, dimorasse a quel tempo presso la parrocchia milanese di Santo Stefano in Brolo. Nell’imminenza del quarto centenario della morte di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, che ricorrerà domenica prossima, 18 luglio, può essere interessante mettersi sulle tracce del maestro nella “sua” Milano. Sua perchè, come tutti ormai sanno, il grande pittore nacque proprio nel capoluogo lombardo, il 29 settembre del 1571, ricevendo quindi il nome del santo del giorno: l’arcangelo Michele, appunto. L’atto di battesimo, a lungo cercato, è stato infatti ritrovato tre anni or sono fra i documenti dell’Archivio storico diocesano di Milano, da cui si evince come la famiglia Merisi, pur originaria del borgo di Caravaggio, dimorasse a quel tempo presso la parrocchia milanese di Santo Stefano in Brolo. Ma Milano fu anche la città dove l’adolescente Michelangelo compì il suo apprendistato artistico, sotto la guida, per quattro anni, del pittore Simone Peterzano, bergamasco d’origine, veneziano di formazione, tanto da firmarsi con orgoglio «allievo di Tiziano». Chi fosse curioso di constatare la bravura di un simile insegnante può recarsi presso la chiesa di San Fedele, nell’omonima piazza, dove si conserva una grande pala d’altare del Peterzano raffigurante la “Sepoltura di Cristo”: i colori vividi, la gestualità solenne e patetica ad un tempo, gli accenti chiaroscurali di questa splendida opera dovettero rimanere ben impressi nella memoria “culturale” del giovane Merisi, che seppe tuttavia rielaborarli in modo assolutamente originale e personale. Lo stesso Caravaggio, del resto, ebbe a misurarsi durante il suo soggiorno romano con il medesimo soggetto: un quadro, quello della Deposizione di Cristo nel sepolcro, che fu ritenuto dai contemporanei come la prova più convincente del pittore lombardo, dipinto per la Chiesa Nuova degli oratoriani di san Filippo Neri, ma dal 1817 conservato nella Pinacoteca Vaticana, dopo il suo ritorno da Parigi, dove era stato portato dagli emissari napoleonici. Ebbene, proprio questa splendida opera, ricca di richiami simbolici e dalla vibrante espressività, si può ammirare all’interno di un altro tempio milanese, quello di San Marco: si tratta di una copia, naturalmente, e tuttavia sorprendente per la sua fedeltà al capolavoro originale. Per fortuna, comunque, Milano conserva anche due dipinti originali, cioè unanimemente attribuite a Michelangelo Merisi. Il primo appartiene alla Pinacoteca Ambrosiana, e si tratta della celeberrima Canestra di frutta, opera talmente bella ed eccezionale da essere stata scelta appunto come “manifesto” della grande mostra caravaggesca che si è da poco conclusa presso le Scuderie del Quirinale a Roma. Il suo stesso prestito per quella rassegna, del resto, è stato un evento epocale, se si considera che dal suo arrivo a Milano, quattro secoli fa, la tela non aveva mai lasciato le sale dell’Ambrosiana. Opera prediletta del cardinale Federico Borromeo (che, da esperto collezionista, la considerava «ineguagliabile»), la Canestra rappresenta per molti versi un approccio straordinariamente innovativo a un genere antico, tanto da segnare non solo la nascita, in pittura, della cosiddetta “Natura morta”, ma perfino l’inizio della stessa arte moderna, con la sua elezione a “protagonisti” di semplici e umili frutti. Frutti, tuttavia, carichi di valenze simboliche e di rimandi biblici, che quindi rendevano questo quadro ancora più prezioso agli occhi del successore di san Carlo. Il secondo capolavoro milanese di Caravaggio, invece, è esposto presso la Pinacoteca di Brera, anch’esso di ritorno dalla mostra romana. Nelle collezioni braidensi, in realtà, si trova “solo” dagli anni Trenta del secolo scorso. Il quadro, infatti, venne realizzato dal Merisi attorno al 1606 durante la sua “latitanza”nei feudi laziali dei Colonna, dove aveva cercato rifugio dopo la tragica rissa di Campo Marzio che era sfociata nell’uccisione, da parte del pittore, di un avversario. Si tratta di una Cena in Emmaus, la seconda dipinta da Caravaggio (la prima, di quattro anni precedenti, è patrimonio della National Gallery di Londra), e vi si può leggere, a nostro avviso, tutta la drammatica tensione che l’artista stava vivendo in quei giorni: Gesù, nello spezzare del pane, si rivela ai due discepoli, eppure già sparisce alla loro vista, come nuovamente inghiottito dall’oscurità. Mentre, ancora una volta, come sempre nell’arte di Caravaggio, sono i gesti e gli sguardi a parlare. – – – L’arte sacra di Caravaggio: un nuovo libro

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