Cade in questi giorni l’anniversario del suo eccidio a Milano da parte dei brigatisti
di Maria Luisa
MENOZZI CANTELE
La targa affissa in Via Salaino, angolo Via Solari, ricorda la morte del giornalista “inviato speciale del Corriere della Sera, studioso di storia del sindacato, presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, assassinato in questo luogo il 28 maggio 1980 all’età di 33 anni”. La targa riproduce il testo di uno scritto di Walter Tobagi del dicembre 1978 che si può considerare il suo testamento spirituale: «Al lavoro affannoso di questi mesi va data una ragione che io avverto molto forte: è la ragione di una persona che si sente intellettualmente onesta, libera e indipendente e cerca di capire perché si è arrivati a questo punto di lacerazione sociale, di disprezzo dei lavori umani (…) per contribuire a quella ricerca ideologica che mi pare preliminare per qualsiasi mutamento e miglioramento nei comportamenti collettivi».
Il suo eccidio, avvenuto la mattina del 28 maggio 1980 per recarsi come al solito all’edicola, ha colpito molta gente del quartiere. La gente non si capacitava che il giornalista del Corriere giacesse sull’asfalto, coperto da un telo bianco, all’inizio della sua giornata di lavoro. Il giorno dei suoi funerali – nella vicina parrocchia di Santa Maria del Rosario con l’omelia del cardinale Carlo Maria Martini che li ha celebrati accanto al parroco monsignor Ettore Beretta – ha richiamato una folla immensa commossa e turbata che gli ha reso l’estremo saluto.
Tobagi e la sua famiglia erano molto conosciuti; il giornalista, attento ed assiduo, il marito di Gemma e il padre di Margherita allora di soli 3 anni e di Luca di 7, suscitavano l’interesse di tutti e la sua fine violenta ed immeritata commuoveva chiunque. Sono passati 40 anni da quei giorni. I figli Luca e Margherita, giustamente orgogliosi del padre, ripercorrono le tappe della sua vita e ne rinnovano la memoria.
Walter Tobagi, nato a San Brizio, una frazione del comune di Spoleto, il 18 marzo 1947, figlio di un ferroviere, si trasferiva con la famiglia a Milano e frequentava il liceo ginnasio Parini. Nel 1966 ha vissuto le vicende del giornale studentesco La Zanzara e del processo che ne è seguito in un momento in cui i giovani si interrogavano sulle loro scelte di vita «per le quali risultavano essere impreparati» (Walter Tobagi, Poter capire – voler spiegare, a cura di Giangiacomo Schiavi, pagina 119).
Tobagi ha intrapreso da giovanissimo la carriera di giornalista, come cronista prima dell’Avanti, poi dell’Avvenire, in seguito del Corriere d’Informazione e del Corriere della Sera.
Quello che si ricorda è che la sua professionalità attenta, scrupolosa ed assidua l’ha portato sempre a scandagliare saggi, manifesti, ciclostilati prima di trasmettere i testi in redazione. Aveva metodo e soprattutto coraggio. Il suo riformismo socialista si incrociava con l’etica del cristiano con una lucidità critica e distaccata da storico.
Per questo fu preso di mira. La magistratura l’aveva avvertito del ritrovamento di una scheda col suo nome in un covo di Prima linea. Ciò nonostante Tobagi non esitò a fare il suo dovere fino all’ultimo esponendosi al rischio. Nei suoi ultimi articoli aveva scritto infatti dei brigatisti descrivendone le contraddizioni e le fragilità arrivando addirittura a definirli “samurai non invincibili” firmando così la sua condanna ad una morte impietosa, crudele.
È stato ucciso ma l’importante testimonianza che ha lasciato continua a farlo vivere come esempio e incoraggiamento ad affrontare con altrettanta determinazione le incertezze del presente e del futuro che inevitabilmente ci attendono.