Un commento alla relazione dello scorso 14 febbraio per la Lombardia
di Mario
BASSANI
La relazione con la quale il Presidente Giordano ha introdotto lo scorso 14 febbraio la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2020 del Tribunale Amministrativo regionale per la Lombardia è interessante per l’analisi ragionata dei dati statistici sulla amministrazione della giustizia amministrativa della nostra regione. Muovendo da questi dati la relazione pone in evidenza che gran parte del contenzioso attiene alla vita economica della regione, dagli appalti e contratti pubblici, al commercio, all’energia, all’edilizia e all’urbanistica e alla tutela dell’ambiente. Altra parte del contenzioso riguarda il tessuto sociale, con riferimento alla sanità pubblica, all’immigrazione e alla libertà di culto.
Al di là dei dati statistici meritano attenzione le considerazioni che la relazione trae.
Dovendo la magistratura svolgere talvolta funzioni di supplenza per colmare vuoti legislativi, o di interpretazione applicativa di leggi poco chiare o confuse, nella relazione si afferma che il giudice, e non solo quello amministrativo, non deve sovrapporsi al potere legislativo con una visione particolare legata ad ideologie, ma con il riferimento a norme e principi generali che costituiscono la struttura portante dell’ordinamento giuridico, pur dando atto che le opinioni personali hanno peso in ragione della cultura alla quale si ispirano purché, se espresse, siano improntate a cautela e sobrietà dovute al rispetto delle funzioni rivestite.
Nella rassegna delle decisioni assunte in via cautelare e di merito, la parte dedicata al contenzioso in materia di contratti pubblici è introdotta dal titolo “Sfida per la Legalità”. E’ dal tempo delle malversazioni di Verre, trascinato da Cicerone avanti al Senato, che il legislatore introduce norme con le quali si propone di eliminare, o quanto meno contenere, i fenomeni corruttivi talvolta presenti nella pubblica amministrazione, ma se ne rileva l’inefficacia sia pure, ma proprio per questo, per via di una legislazione sempre più minuziosa (si pensi al corpo di norme del codice dei contratti pubblici, del regolamento, e delle linee guida dall’Autorità Nazionale Anti Corruzione – ANAC). Le finalità di questa legislazione stanno, secondo la relazione, nell’intendimento di imbrigliare la discrezionalità delle stazioni appaltanti che, anche a causa dei continui e disorganici rimaneggiamenti normativi, sono spesso indotte ad assumere condotte conformiste o, peggio, attendiste per evitare di essere chiamate avanti al giudice della responsabilità contabile e anche di quello penale. Si tratta, come si legge nella relazione, di un classico modello di iper-regolazione che è tipico dei sistemi nei quali prevale la sfiducia e si privilegia la coazione.
Viene alla mente il primo capitolo dei Promessi Sposi, dove il Manzoni ricorda che quanto più numerose e severe erano le grida, tanto più numerosi erano i bravi.
E’ un sistema di normazione che risente di una commistione di ruoli, come accade quando il Parlamento approva leggi che apparterrebbero alla sfera di normazione secondaria sostituendosi al potere esecutivo che ben più efficacemente e celermente disciplinerebbe la materia con regolamenti e circolari quando lo strumento della legge si rileverebbe improprio.
Altra parte della relazione è dedicata alle controversie che attengono alla libertà di culto, che appaiono condizionate da visioni e atteggiamenti politici con i quali si contrasta l’edificazione di edifici, o mutamento di destinazioni, necessari per i riti della fede professata. La relazione, su questo punto, richiama la sentenza della Corte Costituzionale numero 254 del 2019, alla quale la questione era stata demandata dal TAR Lombardia, nella quale si afferma che la libertà religiosa è un diritto inviolabile la cui attuazione richiede la necessaria disponibilità di luoghi per l’insediamento di strutture religiose con la conseguenza che non si può impedirle con l’adozione di norme urbanistiche o di regolamentazione edilizia ostative alla loro realizzazione. Per questo occorre che la ragione politica non sia premiante sui valori fondanti e su una sana concezione di laicità che tutela le libertà riconosciute a tutti, quale il diritto riconosciuto a tutti di professare e praticare il proprio culto quale che sia la religione di appartenenza. Da qui il richiamo nella parte conclusiva della relazione alle parole pronunciate dal nostro Arcivescovo in occasione della festività di Sant’Ambrogio sulla vocazione universale della fraternità.
Così la relazione si conclude.