Presso la Sala Viscontea del Castello Sforzesco si è svolto il dibattito tra l’Arcivescovo ed Enrico Letta sul tema dei complessi rapporti tra Italia e Sud-Est asiatico, nel contesto dell’economia globale
di Annamaria
Braccini
Un dialogo sulla geopolitica e la religione, nel contesto del rapporto tra Milano – ma sarebbe meglio dire, l’intera Europa e l’Occidente – e i Paesi del Sud-Est asiatico.
Si articola su questo asse portante il secondo incontro promosso, all’interno della kermesse BookCity 2019, dall’ Associazione Italia-ASEAN, presieduta da Enrico Letta che l’ha fondata nel 2015 con l’obiettivo di rafforzare il dialogo e gli scambi tra il nostro Paese e l’Associazione delle 10 Nazioni, appunto, del Sud-Est asiatico. A confrontarsi, presso la Sala Viscontea del Castello Sforzesco con la moderazione della giornalista Monica Maggioni, sono l’Arcivescovo e lo stesso Letta, che prendono spunto dal volume “Le anime dello sviluppo. Religioni ed economia nel Sud-Est asiatico”, curato da Romeo Orlandi (vicepresidente dell’Associazione e presente all’incontro con altri rappresentanti di vertice della Onlus) per la collana Arel-Il Mulino.
«Oggi quella regione del mondo – un territorio abitato da 630 milioni di persone che vanta la settima economia del mondo, ma che, secondo le previsioni tra 20 anni, diventerà la quarta -, si presta come straordinaria opportunità di cambiamento geopolitico, eppure è ancora molto lontana dai nostri radar italiani. Attualmente è la zona che attira più imprese, capitali e talenti», osserva subito il già presidente del Consiglio, oggi alla guida della prestigiosa Scuola di Affari Internazionali dell’Istituto di Studi Politici di Parigi.
«È una parte del pianeta in cui convivono moltissime religioni, basti pensare all’Indonesia che è il più grande Paese musulmano al mondo o alle cattoliche Filippine. Nella relazione tra Paesi e religioni si sviluppano dinamiche interessanti e affascinanti», aggiunge.
«Ciò che più colpisce è che noi europei – continua Letta – abbiamo un atteggiamento, verso tali Paesi, di critica alla globalizzazione che va raddrizzata o fermata. Tuttavia, quando si dialoga con i giovani del Sud-Est asiatico, si intuisce che, per loro, è esattamente l’opposto. Il rapporto tra Est e Ovest verte proprio su questo. Siamo andati tutti troppo oltre e, dunque, occorre entrare in una fase nella quale le religioni possono e devono giocare un ruolo molto più importante, anche perché, negli ultimi 20 anni di globalizzazione selvaggia, si sono messi da parte molti concetti, come la coesione sociale, i corpi intermedi, la centralità della persona. Nel tempo de-umanizzato, in cui la tecnologia fa fare passi avanti, ma anche passi nel buio, è necessario il dialogo tra le fedi. Questa è la grande sfida».
Dal concetto di globalizzazione – una «grande mercato commerciale dove l’importante è vendere a prezzo elevato materie che si producono a poco» – prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo, che in tale orizzonte, mette in guardia dai rischi della strumentalizzazione della fede. «Il recupero di un’attenzione alla religione rischia di essere funzionale ad altri meccanismi».
Altra questione è come le religioni si pongono di fronte all’economia. «Nella visione classica, la fede nuoce all’economia, perché pone dei limiti». Il riferimento è al dibattito sull’apertura dei supermercati la domenica. «Mi sembra che lo sviluppo e l’intraprendenza del Sud-Est asiatico siano basati, appunto, su un’economia di genere nordamericano. Inoltre, il concetto della centralità della persona è assai complicato nelle diverse fedi, perché è tipicamente cristiano ed europeo, mentre ho l’impressione che l’economia di taluni Paesi non consideri le donne e gli uomini come tali», ma come consumatori, suggerisce il vescovo Mario.
Insomma, difficile generalizzare e avere una comprensione unitaria di tali complessi fenomeni, soprattutto tenendo conto della singolarità del Cristianesimo, «che non si considera una religione nell’accezione della tradizione anticotestamentaria ossia nel senso di avere un legame con Dio che implica delle leggi, degli adempimenti che chiede lo stesso Dio. Il Cristianesimo crede che il Signore non domandi niente, ma offra la grazia di essere suoi figli e, quindi, persone. L’essere in polemica con l’idolatria del profitto è chiaramente un’istanza critica rispetto al potere e all’economia e questo ci rende stranieri ed esposti alla persecuzione o alla poca significatività sociale».
Replica Enrico Letta: «In Occidente si idealizza l’epoca delle speranza e del miracolo economico di 50 anni fa. Le nostre società sono state così sconvolte dall’impatto delle nuove tecnologie (che non abbiamo ancora compreso del tutto) che è crollata al fiducia nel futuro e il senso di comunità. Non a caso, negli ultimi 20 anni vi è stato un crollo demografico. Entriamo in un tempo della storia nel quale il tema della centralità della persona, può essere una potenziale ancora di salvezza contro un trend dove sarà ulteriormente vincente la logica del profitto perché, alla fine, la partita sarà tra due logiche – e qui l’Europa è fondamentale -: quella tipica nordamericana della grande azienda hi-tech che può utilizzare i dati personali perché passa l’idea che ne è proprietaria e quella cinese per cui il proprietario dei dati delle piattaforme è lo Stato che gestisce l’interesse superiore della sicurezza. Si tratta di imporre un nuovo umanesimo tecnologico, altrimenti il rischio è diventare noi stessi gli strumenti della tecnologia. Il futuro raddrizzamento della globalizzazione passa dal ruolo positivo delle religioni».
Parole cui fanno eco le conclusioni dell’Arcivescovo: «Non so se le fedi si debbano chiedere quale sia il futuro della globalizzazione. Le religioni possono diventare un elemento identitario, e, dunque, porre una difficoltà al convivere, diventando motivo di conflitto. Per questo l’Europa può essere un luogo di pensiero, ad esempio a Milano ci incontriamo con le altre religioni perché individuiamo delle forme di servizio all’uomo anche se preghiamo in modo diverso. Io auguro che città come Milano abbiamo una riserva di speranza per costruire un dialogo, che giovi o no all’economia. Preferisco far progredire l’umanità che l’economia».