Dopo i fatti di piazzale Loreto, sui media un’informazione confusa e distorta circa la realtà delle gang, secondo il responsabile della Pastorale dei migranti: «La chiave di lettura del fenomeno non è l’appartenenza etnica, ma il disagio sociale»

di Stefania CECCHETTI

Don Alberto Vitali
Don Alberto Vitali

All’indomani della sparatoria in piazzale Loreto, costata la vita a un sudamericano, si è parlato, tra l’altro, di un regolamento di conti tra gang di sudamericani. Una sciocchezza, secondo don Alberto Vitali, responsabile della Pastorale dei migranti della Diocesi di Milano: «Il solo fatto che la vittima avesse 37 anni ci dice che non siamo nel campo delle bande giovanili».

Spesso si confondono due realtà molto differenti tra loro, spiega don Vitali: «La criminalità organizzata è divisa in gruppi etnici, con una sorta di accordo o di vera e propria collaborazione per la spartizione del territorio. I ragazzi delle gang di latinos sono fuori da questo giro: i criminali li considerano ragazzotti inaffidabili, si guardano bene dall’affidare loro “incarichi” importanti come lo spaccio di droga». Molto rumore per nulla, sulle gang, dunque. «Si calcola che sul territorio nazionale le bande raccolgano un migliaio di giovani tra Roma, Milano Torino e Genova – spiega -. Questo significa che a Milano saranno poco più di 200. Una percentuale insignificante, se pensiamo alle migliaia di giovani latino-americani che vivono in città. La grande maggioranza fa una vita normale. Molti (almeno 150) frequentano le diverse comunità cristiane che fanno capo a Santo Stefano Maggiore, la parrocchia dei migranti».

Quale allora l’identikit delle gang? «Gruppi di ragazzi che si sballano con droghe leggere e alcol, vanno in discoteca, rubano qualche cellulare. Siamo a livello di piccola criminalità. Ci sono rivalità tra gruppi diversi, ma non vere faide». La realtà a volte è più banale di quanto non la dipingano i media. Prendiamo la rissa dei filippini a Palazzo della Regione. «Uno dei due gruppi coinvolti va spesso a ballare in quella piazza, sono molto conosciuti anche dal personale della Regione – racconta don Vitali -. Hanno visto un altro gruppo di ragazzi, mezzi ubriachi, che orinava sulle panchine. Per paura che rovinassero loro la “reputazione” sul territorio, hanno cercato di mandarli via ed è scoppiata la rissa. I giornali hanno parlato di regolamenti di conti tra gang di filippini, che nemmeno esistono».

Le bande di latinos sono composte fondamentalmente da adolescenti di seconda generazione. «La chiave di lettura del fenomeno non è l’appartenenza etnica, ma il disagio sociale – spiega don Vitali -. La risposta al problema, se non vogliamo fare solo demagogia, è per forza di tipo educativo. Dobbiamo chiederci cosa fa la scuola e anche in che misura le comunità cristiane si fanno interpellare da questi ragazzi che spesso frequentano i nostri oratori. Come li intercettiamo e li includiamo? Ci sono molti sacerdoti interessati che contattano la Pastorale dei migranti e ci chiedono cosa possono fare, ma anche parrocchie che li tollerano a fatica». Lo sguardo di don Vitali è tuttavia ottimista: «In generale c’è interesse nel mondo delle parrocchie, ma questo non sempre corrisponde a un’adeguata preparazione. Non è una colpa: stiamo vivendo un cambio epocale, dobbiamo inventarci nuovi modelli educativi».

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