L'Associazione "Bambini senza sbarre" fondata nel 2002, ma impegnata da anni nel carcere di San Vittore e Opera, lancia un appello perché i figli dei detenuti non restino dietro le sbarre. Questo è possibile concedendo gli arresti domiciliari alle donne con minori o accogliendole in case-famiglia con bambini sotto i 10 anni. A sostenere questa proposta ci sono diverse realtà italiane ("Aromainsieme", Comunità di S. Egidio, "Donne fuori", "Ristretti orizzonti" e "Antigone"), che vogliono dire la loro rispetto a una legge in discussione alla Camera in questi giorni.
3400 - incroci
Redazione Diocesi
Alcune associazioni in Italia (“Aromainsieme”, Comunità di S. Egidio, “Donne fuori”, “Ristretti orizzonti” e “Antigone”) oggi sostengono l’importanza di creare una “Carta dei diritti dei bambini” che hanno un genitore in carcere.
di Luisa Bove
L’Associazione “Bambini senza sbarre” fondata nel 2002, ma impegnata da anni nel carcere di San Vittore e Opera, lancia un appello perché i figli dei detenuti non restino dietro le sbarre. Questo è possibile concedendo gli arresti domiciliari alle donne con minori o accogliendole in case-famiglia con bambini sotto i 10 anni. A sostenere questa proposta ci sono diverse realtà italiane (“Aromainsieme”, Comunità di S. Egidio, “Donne fuori”, “Ristretti orizzonti” e “Antigone”), che vogliono dire la loro rispetto a una legge in discussione alla Camera in questi giorni.
«Il bambino non può crescere senza una relazione parentale», dice Lia Sacerdote, presidente di “Bambini senza sbarre”, «per questo è necessario mantenere, recuperare o ricostruire la relazione spezzata dalla detenzione». La reclusione di uno dei genitori infatti può causare gravi traumi in un minore. Spesso i bambini vengono dimenticati e diventano vittime nascoste della detenzione. Per questo diverse associazioni oggi sostengono l’importanza di creare una “Carta dei diritti dei bambini” che hanno un genitore in carcere.
Nel novembre 2005 su 56.530 reclusi in Italia si calcolavano 70.035 bambini separati dal padre (oggi 3400 sono lontani dalla madre), mentre in Europa l’allontanamento riguardava oltre 700 mila bimbi. Inoltre si è rilevato che il 30% dei detenuti è a sua volta figlio di genitori che sono passati dall’esperienza del carcere. I bambini, ribattezzati “orfani della giustizia”, hanno più probabilità in futuro, rispetto ai loro amici, di trovarsi a fare i conti con la legge. Non solo, già da piccoli sono vulnerabili, dal punto di vista emotivo, economico e della salute, perché non sempre ricevono le cure e le attenzioni adeguate.
Un terzo di loro poi viene ingannato dalla madre sulle motivazioni dell’assenza del padre, un altro terzo non viene informato e solo il restante 30% riceve le giuste informazioni. Eppure, dice Sacerdote, «i bambini devono sapere la verità, solo così l’esperienza del carcere diventa più umana». La reclusione infatti toglie la libertà, ma non deve negare gli affetti, che risultano invece fondamentali anche in un percorso di recupero.
Gli istituti di pena devono provvedere a spazi e luoghi adatti ai bambini che vivono in carcere, mentre gli operatori e gli agenti penitenziari devono tener conto della presenza di minori quando si rivolgono alle mamme recluse. Il rischio infatti è che la donna non sia riconosciuta nel suo ruolo di genitore o che perda la sua credibilità.
Anche per Alain Bouregba, psicanalista francese e presidente della Federazione dei “Relais Enfants Parents” di Parigi, il rapporto tra genitori e figli è fondamentale. Tra i problemi più importanti indica la perdita di identità del bambino, dovuta anche alla mancanza del riferimento del padre nella sua vita. Tuttavia, anche quando la relazione esiste, perché il minore va a trovare il papà in carcere, può nascere tra i due ostilità e sofferenza. In questi casi spesso i ragazzini dichiarano di desiderare un genitore diverso, provano un senso di colpa e di vergogna per quello che hanno.
Altro aspetto importante è la «socializzazione». Se la madre chiede al figlio di non parlare con nessuno della detenzione del padre, spiega Bouregba, immediatamente nasce nel minore una difficoltà di rapporti con i coetanei. “Bambini senza sbarre” e “Relais Enfants Parents”, l’organizzazione che raccoglie una ventina di associazioni francesi, lavorano per ricreare e facilitare i rapporti familiari che spesso la reclusione spezza. In un anno la fondazione ha realizzato 8 mila accompagnamenti in carcere di bambini in visita ai genitori, ma sono addirittura 100 mila in Francia i minori seguiti da psicologi o educatori.
«Tutte le relazioni genitori-figli hanno le stesse dinamiche», aggiunge la psicanalista Lella Ravasi Bellocchio, «solo che in carcere sono estremizzate». La sua esperienza riguarda soprattutto le donne di San Vittore, dove per due anni si è recata ogni venerdì per incontrare un gruppo di 8-12 detenute. Insieme hanno lavorato sui “sogni” (in seguito ha pubblicato il libro “Sogni senza sbarre” edito da Cortina), ma senza forzature: ogni donna quando si sentiva pronta raccontava la sua storia. Questo ha permesso loro di «mettere in moto la speranza, di recuperare dignità, di conoscere se stesse e di desiderare di farcela».