Gli esercizi nello scorso anno erano 1.630, mentre oggi sono 1.764. Hanno sede in 600 vie tra viali e piazze. L'età media dei titolari di imprese asiatiche è di 39 anni, contro i 45 dei milanesi. Soprattutto donne: il 39 per cento contro il 20 per cento degli uomini. Un dato molto distante da quello italiano, dove le imprenditrici sono solo 1 su 5.

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Redazione Diocesi

Gli esercizi nello scorso anno erano 1.630, mentre oggi sono 1.764. Hanno sede in 600 vie tra viali e piazze. L’età media dei titolari di imprese asiatiche è di 39 anni, contro i 45 dei milanesi. Soprattutto donne: il 39 per cento contro il 20 per cento degli uomini. Un dato molto distante da quello italiano, dove le imprenditrici sono ormai soltanto 1 su 5. La crescita dei negozi e delle ditte straniere è nella logica dell’immigrazione. Ma tra gli italiani non tutti vedono di buon occhio la buona lena cinese. I residenti di via Sarpi, infatti, continuano a protestare e denunciano i laboratori clandestini, le cliniche abusive per gli aborti, i monolocali con gli inquilini ammassati. Una situazione insostenibile a cui da anni non si riesce a porre rimedio.

di Cristina Conti

Sono 10.222 i titolari stranieri di imprese in città. Il 20 per cento degli imprenditori presenti a Milano. Dal 2005 ogni 7 giorni nasce un negozio o una ditta cinese. Da piazzale Corvetto a Baggio, ma le imprese crescono soprattutto al Nord: 100 ad Affori, 98 in via Maciacchini, 91 a Crescenzago. Ma anche al centro ci sono evidenti aumenti, come 14 ai Navigli, 8 a Brera e 83 nei dintorni della Stazione Centrale.

I dati elaborati dalla Camera di commercio sono gli unici dati certi, tra attività rilevate, fallite e compravendite in denaro contante. In totale gli esercizi nello scorso anno erano 1.630, mentre oggi sono 1.764. Hanno sede in 600 vie tra viali e piazze. L’età media dei titolari di imprese asiatiche è di 39 anni, contro i 45 dei milanesi. Soprattutto donne: il 39 per cento contro il 20 per cento degli uomini. Un dato molto distante da quello italiano, dove le imprenditrici sono ormai soltanto 1 su 5.

La crescita dei negozi e delle ditte straniere è nella logica dell’immigrazione. «E’ parte del generale boom delle imprese straniere che si inserisce nella caratteristica apertura di Milano al mondo esterno», spiega il presidente della Camera di commercio, Carlo Sangalli.

Ma non sono solo negozi. Anche le bancarelle dei mercati rionali e gli abusivi in mezzo alle strade e ai marciapiedi sono sempre più spesso cinesi. La grande quantità di merci contraffatte che viene venduta nel capoluogo lombardo viene stoccata in depositi. Arrivano via mare dal porto di Genova. Se passano i controlli vengono caricate sui camion e vendute a Milano.

E ce n’è per tutti i gusti: occhiali, orologi, telefoni cellulari, oltre alle solite borse e cinture di marca. Intanto gli italiani continuano a comprare. «Chincaglieria che conviene. Non costa niente rispetto a quello che bisogna spendere quando si entra in un negozio italiano. E anche se non sono accessori di marca, sono comunque belle», commenta una signora all’uscita di un negozio in via Paolo Sarpi.

Così si avvera la promessa che Luigi Sun, imprenditore che rappresenta i cinesi nella Chinatown milanese, aveva fatto a febbraio partecipando a un seminario del Politecnico: «Ci servono nuovi spazi. Per noi e per le nostre attività c’è posto in questa città».

Ma tra gli italiani non tutti vedono di buon occhio la buona lena cinese. I residenti di via Sarpi, infatti, continuano a protestare e denunciano i laboratori clandestini, le cliniche abusive per gli aborti, i monolocali con gli inquilini ammassati. Una situazione insostenibile a cui da anni non si riesce a porre rimedio.

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