Ai piedi della Croce di San Carlo nel Duomo di Milano
di don Matteo
BARALDI
Sono qui, ai tuoi piedi, Signore Gesù.
Ai piedi di quel crocifisso che San Carlo portò per le vie di Milano nei giorni della peste.
Qui in un Duomo deserto, così vuoto che sembra aperto solo per me, silenzioso come non è mai…
Qui senza neanche un lumino acceso… non ho niente per accenderlo, come segno del mio passaggio qui, oggi.
Sono qui, dove, ai piedi di questo crocifisso, riposa il corpo del cardinale Carlo Maria.
Sono qui, senza parole, o con troppe parole nella mente e nel cuore: non so cosa chiederti, non so cosa dirti.
Vorrei chiederti di far finire presto quest’epidemia, quest’emergenza.
Vorrei chiedertelo, e te lo chiedo.
Vorrei chiedertelo per i malati che sono negli ospedali e per quelli che sono nelle case, anche per i miei fratelli preti che stanno lottando in terapia intensiva, uomini come tutti gli altri uomini, malati come gli altri malati. Vorrei chiedertelo per tutti quelli che sono morti, soli, senza vicino nessuno, perché ora non si può, per quelle bare che giacciono allineate in attesa di sepoltura. Vorrei chiedertelo per quei parenti che non possono stare vicini ai loro cari, e soffrono perché sentono di averli lasciati soli, per quei parenti che piangono la morte di una persona amata e non hanno neanche un corpo morto da accarezzare, neanche un funerale da celebrare.
Vorrei chiedertelo per i medici e gli infermieri che non conoscono più il giorno e la notte, che vanno avanti nonostante la fatica, anch’essi strappati alla loro vita e ai loro affetti, come soldati in prima linea di una guerra che non si sa se e quando sarà vinta.
Vorrei chiedertelo per quelli che sono chiusi in casa, impauriti, stanchi, confusi, o forse solo rassegnati e costretti. Per quelli che escono sui balconi a cantare per esorcizzare la paura. Per quelli che non sanno più cosa fare per tenere allegri e impegnati i loro bambini. Per quelli che sentono ancor più forte la fatica e la prova di una convivenza famigliare difficile, e per le persone che sono sole, magari anziane, e non hanno più neanche il conforto di una passeggiata, di una Messa in chiesa, di un caffè al bar.
Vorrei chiedertelo per quelli che ancora sono in giro per futili motivi, incoscienti del dramma che ancora ci sta davanti. Per gli adolescenti annoiati. Per i giovani che vorrebbero fare qualcosa per gli altri e non lo possono fare. Per i preti che più non sanno cosa fare e come fare per stare vicini alla propria gente, e pregare in silenzio sembra troppo poco…
Vorrei chiedertelo per quelli che invece sono costretti ad uscire di casa, per lavoro, per necessità, per servizi di pubblica utilità. Per quelli che una casa non ce l’hanno, e vorrebbero, loro sì, restare a casa…
Vorrei chiedertelo, e te lo chiedo.
Vorrei chiederti che tutto finisca presto, che tutto si cancelli in fretta come un brutto sogno. Vorrei chiederti che tutto potesse tornare in fretta alla normalità. Ma che non ci accada di dimenticare, di riprendere le nostre abitudini come se niente fosse, come se niente avessimo da imparare in tutto ciò che è accaduto.
Vorrei chiederti un miracolo. La storia della Chiesa è piena di fatti miracolosi, di santuari eretti al ricordo di pestilenze scongiurate, di catastrofi evitate…
Anche questo crocifisso può essere preso a monito contro di noi, Chiesa forse troppo impaurita, oggi, troppo povera di fede, rispetto ai nostri padri, che scendevano in strada, pregavano, soccorrevano gli appestati, credevano nei miracoli…
Ma chi lo dice, Signore, che i miracoli debbano per forza vedersi mentre accadono? Chi lo dice che non stiano già accadendo in mezzo a noi? Forse solo tra un po’ di tempo, quando tutto sarà finito, saremo in grado di dire: ecco, lì è accaduto un miracolo.
Vorrei chiederti allora un miracolo collettivo, quello che non necessariamente scende dal cielo a sollevarci da ogni responsabilità e mettere una pezza alle nostre inettitudini. Vorrei chiederti un miracolo che nasce dal basso, che sgorga dal cuore di ciascuno, dalla libertà e dalla responsabilità di tutti, da quella capacità di amare e di sacrificarsi che c’è dentro, da qualche parte, in ciascuno di noi.
Vorrei chiederti un miracolo così. Come quello della gente di Ninive, che vestì il sacco e si cosparse il capo di cenere, dal più piccolo al più grande. E così allontanò la distruzione, e così sollecitò la tua compassione, la tua misericordia.
Vorrei chiederti il miracolo della conversione. Per me, innanzitutto. Se cambio io, il mondo cambia, la Chiesa cambia… Vorrei chiederti il miracolo della conversione per ciascuno, dal più piccolo al più grande. Per chi crede, per chi non crede, per chi crede poco. Per chi opera per il bene comune e per chi segue solo i propri interessi e i propri affari. Il miracolo di cambiare la mente, cambiare il cuore, cambiare il modo di vedere le cose, saper ritornare sui propri passi e cambiare strada. Per un mondo più giusto, umano e solidale. Per una Chiesa di popolo, unita, capace di pregare e lavorare, di celebrare e servire, di sostare e di andare.
Per una Chiesa in cui la tua Parola sia lampada sui passi dell’uomo, luce del cammino. Per una Chiesa in cui l’Eucarestia non sia un rito stanco da ripetere ogni giorno o un premio da rivendicare per la propria buona coscienza, ma sia veramente il centro, fonte e culmine della sua missione. Per una Chiesa che sappia scegliersi la parte migliore, fermandosi ai tuoi piedi ad ascoltare e contemplare, e non si perda in troppo sterile attivismo, credendo così di salvare il mondo.
Questo è il miracolo che voglio chiedere, oggi, qui ai tuoi piedi, a te, Uomo della Croce, Agnello di Dio che hai preso su di te i peccati del mondo, a te che sei il Signore Risorto, il Dio vivente.
Così questi giorni austeri, questi giorni di prova, diventeranno per noi e per tutti “giorni fecondi e lieti”. Amen.