Nella Solennità della chiesa-madre degli ambrosiani, il Pontificale presieduto dall’Arcivescovo: «La casa di preghiera è la tenda di Dio con gli uomini, dove il Signore asciuga le lacrime e gli afflitti possono trovare consolazione»
di Annamaria
Braccini
«Festeggiamo la vocazione di questa casa di preghiera, perché sia un luogo dove sperimentare che Dio è presente e asciuga ogni lacrima dagli occhi».
È la terza domenica di ottobre e, in Cattedrale, si celebra una delle Solennità liturgiche più significative e storicamente attestate per la Chiesa di Milano e per quella casa di tutti i fedeli ambrosiani che ne è il cuore, il Duomo.
Giorno di festa e di preghiera, per la «Chiesa in cammino nel tempo» come dice, nel suo indirizzo di saluto iniziale, l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo, ricordando i 630 anni del primo regolamento della Fabbrica del Duomo voluto il 16 ottobre 1387 da Giangaleazzo Visconti e i significativi anniversari di Ordinazione presbiterale di alcuni Canonici del Capitolo Metropolitano della Cattedrale. «Vogliamo essere come pietre vive della Gerusalemme nuova, accettando la sfida della sinodalità», aggiunge Borgonovo.
E proprio nel riferimento alla Gerusalemme celeste dell’Apocalisse di Giovanni al capitolo 1 – “tenda di Dio con gli uomini” nella quale Egli asciugherà ogni lacrima” -, prende avvio l’omelia di monsignor Delpini.
«Perché le lacrime e la morte e il lamento e l’affanno? È questa la domanda che percorre la storia, motivo che rende inquieti le persone e i tempi della vicenda umana. Perché le lacrime che sono l’espressione della protesta degli innocenti: i bambini, i semplici, quelli che non hanno studiato e non sono abituati agli argomenti complicati e ai pensieri penetranti. Perché?»
Le lacrime che sono anche l’espressione dell’impotenza dei potenti, perché anche «per loro giunge un giorno dove il loro potere e le loro ricchezze non servono, perché la morte visita la loro casa, l’affanno opprime e agita il loro animo e si riconoscono impotenti».
E, ancora lacrime che sono l’espressione dello sconcerto dei devoti e dello smarrimento dei sapienti quando «giungono sull’orlo dell’abisso incomprensibile e sono messi alla prova dal dolore invincibile, dall’enigma impenetrabile, dalla tenebra spaventosa della morte e dell’affanno».
Quelle lacrime che, allora, si mescolano all’interpellanza che sale a Dio come una preghiera o come una bestemmia: “Dove sei Dio?”.
È la domanda che tutti conosciamo fin troppo bene e alla quale aspettiamo una risposta mentre sentiamo solo un silenzio che ci sembra abbandono perché crediamo che il Signore abbia i nostri metodi. Ma non è così, suggerisce l’Arcivescovo: «Il modo di Dio di rispondere è quello di farsi vicino a chi piange per asciugare ogni lacrima dai loro occhi, per invitare tutti a entrare nella creazione nuova, nella città santa, la Gerusalemme nuova. Tutti sono invitati a entrare nella tenda di Dio con gli uomini».
Quella tenda che è la casa di preghiera. «In tutti i tempi e, forse soprattutto nel nostro, si è diffusa la persuasione che la preghiera è una cosa troppo astratta, che per asciugare le lacrime la preghiera non serve. Si deve piuttosto vendere e comprare, produrre cose e consumarle, vincere la paura della morte propiziando le distrazioni e censurandone persino il nome. Una casa di preghiera sembra più utile se si trasforma in un supermercato».
Il richiamo è alle dure espressioni di Gesù di fronte ai mercanti nel tempio, appena ascoltate nel vangelo di Matteo. «Le sue parole polemiche intendono risvegliare le coscienze, dare verità alla parola antica e alimentare una consolazione più persuasiva del vendere e del comprare: una casa di preghiera è la casa dove il desiderio può dilatarsi fino a sperare il Regno di Dio, la casa dove gli afflitti della terra possono sperare una consolazione che non sia precaria illusione, dove ciascuno può sentirsi al suo posto e assumere la sua missione. Per questo festeggiamo la vocazione di questa casa di preghiera, perché sia un luogo dove sperimentare, con qualche segno, che Dio è presente e asciuga ogni lacrima dagli occhi».
E, alla fine, ancora un breve pensiero per i Canonici festeggiati (monsignor Angelo Mascheroni 65 anni di Messa; i monsignor Giordano Ronchi, Inos Biffi, Giancarlo Boretti, Giacomo Mellera, 60; monsignor Claudio Fontana, 25 e monsignor Gianfranco Bottoni, 50) e un augurio che vale per tutti: «C’è una responsabilità di testimoniare che il Signore non delude, che in questa casa di preghiera dove i Canonici esercitano il loro Ministero, si sperimenta che Dio sa consolare».