Le raccomandazioni rivolte dall’Arcivescovo al clero ambrosiano nell’omelia della Messa crismale prendono in esame lo stile pastorale, dai gesti al linguaggio

di monsignor Ivano VALAGUSSA
Vicario per la Formazione del clero

Messa crismale 2019

Nell’omelia dell’ultima Messa crismale l’arcivescovo Mario Delpini ha proposto alla Diocesi e in particolare al clero diocesano, presente numeroso alla celebrazione per rinnovare le promesse sacerdotali, il tema della missione della Chiesa. Argomento su cui tutta la Chiesa sarà coinvolta nel “Mese missionario straordinario ottobre 2019”, indetto da papa Francesco per risvegliare lo slancio di responsabilità di ogni battezzato nell’annuncio del Vangelo nel mondo e in ogni ambiente di vita.

L’Arcivescovo rilancia il mandato missionario della Chiesa unendo due realtà che sembrano distanti e separate. Da un lato l’umanità ferita e abbandonata a se stessa nella sua malattia mortale, dall’altra il mistero di Dio, comunione trinitaria. La missione della Chiesa continua quella di Gesù, che risponde all’invocazione: chi può soccorrere e guarire la nostra umanità ferita? È la risposta del Padre, che nel dono del Figlio Gesù effonde lo Spirito per renderci figli dell’unico Padre. Dentro questa visione della missione della Chiesa l’Arcivescovo presenta nell’omelia una ricca riflessione per la conversione missionaria delle Comunità pastorali, delle parrocchie e del ministero stesso dei presbiteri e dei diaconi a servizio della Chiesa.

Offro semplicemente qualche spunto per un contributo di ripresa di questa omelia e per sostenere l’invito ad approfondirla insieme come clero e come comunità cristiana.

L’olio benedetto

Tra le immagini che l’Arcivescovo presenta in questa omelia troviamo quella dello «straniero sconosciuto» che si china sull’uomo ferito, incontrato per strada, e inizia a soccorrerlo versando dell’olio e del vino sulle sue ferite. In questo gesto di prossimità e di cura si rivela la missione della Chiesa, il compimento del mandato di Gesù ai Dodici. Quel potere sugli spiriti impuri dato a loro inviandoli due a due (Mc 6,7) nasce dallo sguardo di compassione sull’uomo ferito e per questo si traduce nel gesto di farsi vicino e di chinarsi nell’umiltà del servizio, di versare l’olio della misericordia che cura le ferite, di sollevarlo portandone il peso perché possa riprendere il proprio cammino. La missione non nasce dalle nostre capacità, ma dallo sguardo di Dio, dalla misericordia del Padre che Gesù ci rivela e che lo Spirito ci comunica. La missione non è animata da un potere che separa e crea differenze, ma unisce e crea comunione perché è servizio, dono di sé gratuito all’altro. La missione non si accontenta di porre un rimedio all’ingiustizia e alla violenza umana, ma unge la ferita con l’olio benedetto, consacra le persone perché è Dio stesso che opera la salvezza. È il mistero della divinizzazione, dell’opera dello Spirito che nei Sacramenti agisce per renderci figli del Padre nel figlio Gesù Cristo. L’indifferenza, il clericalismo, la rassegnazione di fonte alla morte sono oggi le zavorre che rendono faticoso lo slancio missionario della Chiesa.

Il segno della croce

L’Arcivescovo ha insistito molto nella sua omelia su questo segno; perfino al termine della Messa crismale, in modo benevolo, ha richiamato anche al clero il segno della croce, da imparare e da insegnare bene!

In questo segno impariamo a iniziare e a terminare ogni nostra azione dalla vita che riceviamo, dall’amore a noi rivolto, dall’opera di Dio già iniziata in noi. Non siamo soli ad affrontare la giornata, gli impegni familiari, il ministero di presbiteri e diaconi, la testimonianza di vita consacrata, le responsabilità nel mondo. Il segno della croce dice quella preghiera continua che il Vangelo raccomanda (Lc 18,1), e che trova alcuni momenti fondamentali: l’ascolto della Parola, la preghiera del mattino e della sera, la preghiera dei salmi, la celebrazione dei Sacramenti. Ma è anche quel segno che consacra ogni istante della vita, perché appartiene al Signore, è chiamata a entrare nella comunione d’amore di Dio, a essere abitazione di Dio. Con il segno della croce offriamo noi stessi a Colui che si è donato a noi e rendiamo la nostra esistenza “culto spirituale” (Rm 12,1) a Dio gradito. Per essere Chiesa missionaria impariamo a fare il segno della croce!

Parole nuove

Infine un accenno a quella conversione che non riguarda solo gesti e segni, ma anche le parole. L’Arcivescovo Mario nell’omelia indica anche la «conversione del linguaggio». Le parole che usiamo come Chiesa rischiano di essere vuote e slegate dalla vita di fede della comunità cristiana. Celebrazioni, riunioni e calendari non indicano solo appuntamenti e attività della parrocchia o di qualcuno, ma anche esperienza di grazia per l’opera di Dio. Da questa «conversione di linguaggio» la stessa comunità cristiana riceve aiuto per la «conversione dei cuori». Clero, laici, religiosi e religiose dal cuore libero dal protagonismo e dall’affermazione di sé attraverso il ruolo, perché capaci di docilità all’azione dello Spirito, che guida e plasma il volto di Chiesa «in uscita». La missione della Chiesa comunica con parole che diventano chiamata alla comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

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