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Redazione Diocesi
La testimonianza di mons. Franco Masserdotti, vescovo di Balsas (Brasile)
E’ vescovo di una diocesi in cui il 65 per cento della popolazione vive con meno di un euro al giorno. Ritiene che l’annuncio del Vangelo sia inscindibile dalla promozione umana e non può tollerare il silenzio di fronte alle ingiustizie. Auspica che l’anno prossimo, in occasione del 25° anniversario del martirio, mons. Oscar Romero sia proclamato dalla Chiesa beato, visto che «la popolazione latino americano lo considera già un santo».
Gli sembra che in Italia «ci sia troppo silenzio a riguardo dell’economia e della politica». Questo è mons. Franco Masserdotti, vescovo di Balsas, nel nord est del Brasile. Al Convegno di Montesilvano ha portato la voce dei poveri del Brasile, ha rappresentato quella chiesa brasiliana che ha scelto di condividere la vita con loro.
Mons. Masserdotti, uno degli aspetti di questo convegno è stato quello dell’ascolto. Quale messaggio ha portato dal Brasile?
Ho cercato di far capire come per noi sia fondamentale la scelta dei poveri. E’ nella storia stessa della Chiesa latino americana. Pensiamo alla Conferenza di Medellin, nel lontano 1968, dove è stato affermato che l’episcopato latino americano non può rimanere indifferente di fronte alle terribili ingiustizie sociali esistenti. Inoltre, ho portato l’esperienza della comunità ecclesiali di base (Ceb). Nelle Ceb i poveri sono considerati soggetti e protagonisti di una rinnovata evangelizzazione e della costruzione di una società fraterna, giusta e solidale.
Che significato hanno nella sua diocesi queste scelte pastorali?
La nostra situazione sociale è tale che per noi l’annuncio non può essere astratto, ma legato alle condizioni di vita delle persone. E di conseguenza l’annuncio è strettamente legato alla promozione umana. Come possiamo ignorare le situazioni di sfruttamento che vediamo coi nostri occhi? Per fare solo un esempio, nella nostra diocesi si sta diffondendo la monocoltura della soia e viene praticati con mezzi che escludono la popolazione. Ciò significa perdita delle terre, povertà, sfruttamento. La nostra pastorale sociale può essere riassunta in tre tappe. Dare il pesce, perché la gente ha fame. Insegnare a pescare, in modo tale da garantirle un futuro. Impegnarsi a pulire l’acqua del fiume perché altrimenti i pesci muoiono e non si può più pescare: cioè dobbiamo impegnarci per abbattere le situazioni di ingiustizia e corruzione. Con le Ceb puntiamo molto sui laici e siamo fortemente impegnati nella loro formazione. La nostra chiesa è fondata sui laici. Nella chiesa brasiliana la presenza delle Ceb e il loro impegno ha fatto scaturire una nuova santità politica, basata su una comprensione della fede, della speranza e della carità in chiave sociale.
Spesso la chiesa brasiliana è stata profetica. Oggi forse lo è un po’ meno… Certamente c’è stato un abbassamento del tono profetico .
Negli anni della dittatura molti pastori sono stati capaci di gesti e scelte coraggiose. Oggi non è certamente così. Ma direi che questo non è il problema principale della chiesa brasiliana. Oggi la nostra sfida è la coscientizzazione della gente. E’ diffusa una mentalità fatalista e rassegnata e il nostro compito è proprio quello di cambiarla. Non ha più senso che vi siano pastori che denunciano e poi dietro non c’è un popolo che è cosciente delle cause di tanta povertà e miseria.
In Brasile a Porto Alegre si sono svolti i primi forum sociali mondiali, dai quali sono emerse idee e richieste per un mondo diverso. Che cosa ne pensa?
Ho partecipato anch’io ai forum di Porto Alegre e penso che in quelle occasioni si è manifestata la speranza di cambiare il mondo, di renderlo più bello, direi più vicino al mondo che Dio ha sognato per gli uomini.
Si parla spesso di scambio fra le chiese. Che cosa possiamo accogliere della vostra esperienza?
Dovete guardare innanzitutto al martirio dei profeti. Migliaia di cristiani hanno fecondato le comunità con il sacrificio della vita in favore della giustizia e a partire dalla propria fede. Ad esempio di Gesù molti cristiani sono minacciati, perseguitati, diffamati e morti. Ricordo tra tutti mons. Oscar Romeno, vescovo di San Salvador. Auspico che l’anno prossimo, in occasione del 25° del suo martirio, sia proclamato dalla Chiesa beato. La popolazione latino americano lo considera già un santo. Anche qui in Italia l’impegno per la giustizia è urgente. Come Chiesa non è possibile rimanere in silenzio di fronte a questo periodo cupo in cui tutto è sottomesso all’economia e all’interesse di pochi. Inoltre, il protagonismo dei laici nella chiesa brasiliana può essere uno stimolo anche per la vita delle comunità cristiane in Italia. Un laicato che è corresponsabile, che ha il suo spazio.
Dario Paladini