Questa una delle caratteristiche della Visita pastorale che il cardinale Scola ha inaugurato l’8 settembre incontrando i laici di tre Decanati milanesi. Monsignor Delpini: «Sobrietà, ferialità e familiarità modalità significative dell’iniziativa»

di Annamaria BRACCINI

Monsignor Mario Delpini

Una Visita pastorale volutamente «sobria», come l’ha definita il cardinale Scola, per promuovere un dialogo diretto tra l’Arcivescovo e il suo popolo e per intercettare al meglio, proprio per questo, le urgenze, le difficoltà e le necessità dei fedeli. Sono queste le modalità della Visita pastorale indetta con Decreto e avviata l’8 settembre, all’inizio del nuovo Anno pastorale.

«La sobrietà e la ferialità dell’iniziativa fa parte integrante della scelta complessiva dell’Arcivescovo che, in questa Visita, si avvale della collaborazione dei sacerdoti, dei Decani e soprattutto dei Vicari di Zona, per la preparazione e per il lavoro successivo di elaborazione dei dati che emergeranno nei singoli incontri – dice il Vicario generale, monsignor Mario Delpini -. L’intenzione della Visita è verificare la ricezione del Magistero e delle indicazioni pastorali del Cardinale. Un obiettivo che trova il suo contesto propizio non tanto nelle celebrazioni solenni, quanto in una conversazione che potremmo definire “familiare”, secondo il metodo del vedersi, parlarsi, confrontarsi circa la comprensione e la pratica dei “quattro pilastri” su cui edificare una Comunità, così come è stato delineato nella Lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino e ribadito in Educarsi al pensiero di Cristo che ci accompagnerà da adesso al 2017. Non a caso, in un biennio che coincide con l’arco temporale previsto per la Visita che terminerà a maggio 2017».

Il problema è sempre quello di un rapporto vero tra fede e vita. Ma forse si tratta anche di un riconoscimento dell’identità dei credenti in Cristo…
Certamente l’intento del Cardinale è sottolineare come la fede non possa essere feconda se non diventa criterio di giudizio con cui affrontare l’esistenza. Tuttavia, occorre dire che sono ancora molti coloro che vivono con questa stessa fede la quotidianità dei rapporti, come i preti constatano spesso nel loro ministero. Semmai, è la mentalità corrente che non favorisce, come è sotto gli occhi di tutti, una vita secondo i principi cristiani. Più che di una questione identitaria, si tratta di valorizzare quanto esiste, offrendo alle persone le ragioni e un ancoraggio più certo nel legame con il Signore.

Nel primo incontro il Cardinale ha detto che è una Visita «a rovescio», cioè la inizia l’Arcivescovo, ma la proseguono i preti, i Decani, i Vicari e, naturalmente, la gente, riflettendo e avviando nuovi percorsi. Questo per legare la nostra Chiesa a tutti i livelli?
Sì. Si desidera raccomandare a ogni realtà che è e opera in Diocesi, un’unità, peraltro, garantita dalla presenza e dalla responsabilità del Vescovo. Questo fa sì che si possa essere “uno” pur nella ricchezza di tanta pluriformità.

Infatti, l’auspicio e che si incrementi lo spirito di comunione…
Senza dubbio è questo ciò a cui si vuole tendere. L’amore di Dio, l’avere Cristo in comune, ci precede e bisogna, quindi, esserne consapevoli, mentre talora, anche nelle nostre comunità ecclesiali, si rischia di dimenticare questo legame inscindibile e profondo che trova una sua corrispondenza nella natura relazionale dell’uomo.

Oggi la via con cui si comunica più facilmente è il “raccontarsi”. Un dialogo libero e spontaneo con il Pastore può essere attrattivo anche per superare una presunta distanza tra il vertice e la “base”. Si è considerato anche tale aspetto?
Effettivamente fin dall’inizio, quando si è andata delineando l’ipotesi, i Vicari di Zona hanno percepito l’evidenza che la gente vuole incontrare il Vescovo, avere un rapporto diretto con lui, ascoltandolo, oltre i grandi eventi liturgici in Duomo. Questo ha avuto il suo peso nella decisione che la Visita fosse necessaria e nella scelta di configurarla come un momento di dialogo “quotidiano”.

 

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