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Redazione Diocesi
Stile celebrativo e qualche gesto simbolico hanno caratterizzato ieri pomeriggio, lunedi 27 settembre, l’apertura del terzo convegno missionario nazionale a Montesilvano (Pescara).
Fino a giovedì 30 settembre oltre 1600 delegati, in rappresentanza del variegato e vivace mondo missionario (centri missionari diocesani, associazioni, istituti missionari, gruppi missionari parrocchiali), cercheranno di discutere e riflettere sul tema: «Comunione e corresponsabilità per la missione».
Il gesto simbolico è stato quello delle brocche d’acqua.
Sul palco dei relatori, infatti, c’erano cinque grandi brocche colorate: bianca per l’Europa, verde per l’Africa, rossa per le Americhe, azzurra per l’Oceania e gialla per l’Asia.
L’acqua di ognuna delle cinque brocche è stata versata in un’unica grande anfora con una croce che riuniva i cinque colori e quindi benedetta.
Il cardinale Crescenzio Sepe, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, ha quindi benedetto i delegati.
Dopo i saluti d’apertura, è toccato al cardinale Sepe iniziare ad affrontare il tema del Convegno, seguito dalla lunga relazione di Christian Sina Diatta, ministro per la ricerca scientifica del Senegal, su «Un mondo che cambia»
Il card. Sepe ha esordito sottolineando come la missione deve essere «cristocentrica», nel senso che «la missione implica innanzitutto la conoscenza di Cristo».
«E’ necessario avere incontrato e accolto Gesù Cristo per poter essere missionari e annunciare l’amore di Dio come Gesù stesso ha fatto».
Il cardinale Sepe ha poi ricordato come «dopo 2000 anni di storia del cristianesimo ci troviamo ancora quasi agli inizi».
E a questo punto ha snocciolato alcune cifre che dimostrano come sia ancora urgente la missione: «Solo due miliardi circa di persone nel mondo sono cristiane. E gli altri?».
«Comunione e corresponsabilità per la missione: noi tutti», ha affermato, «in quanto missionari siamo corresponsabili dell’evangelizzazione in tutto il mondo e non solo nella propria città».
Il ministro Christian Sina Diatta ha portato il punto di vista del sud del mondo a proposito delle nuove sfide per l’umanità derivanti dal progresso scientifico e dalla globalizzazione.
Ha sottolineato in particolare come «il mondo si traduce, nonostante il progresso delle scienze e della tecnica o in parte proprio grazie a questo progresso, secondo una scala temporale a breve termine e una a lungo termine. A breve termine, i paesi in via di sviluppo, ovvero circa 9/10 dell’umanità, vivono in estrema povertà, schiacciati da un pesante carico di debiti».
«La crisi a breve termine è parte integrante di una crisi a lungo termine», ha aggiunto prevedendo un peggioramento delle condizioni di vita di buona parte dell’umanità.
«A lungo termine, il mondo vivrà un grande disquilibrio tra salario e consumazione. Circa 3/4 delle ricchezze a scala mondiale, dei servizi e la quasi totalità della ricerca scientifica e tecnologica sono concentrate in ¼ della popolazione mondiale. ¼ della popolazione consuma il 78 % della maggiore parte delle risorse minerarie».
«Il lamento generalizzato di questo stato di cose non sembra avere generato nessuna prospettiva di inversione, organizzata ed efficace, del progressivo aggravarsi della disparità tra il ricco ed il povero: individuo, nazione o continente».