L’Arcivescovo in visita alla parrocchia Beata Vergine Assunta, che nelle ultime settimane ha accolto 100 immigrati al giorno collaborando con la Casa della carità

di Annamaria BRACCINI

Scola a Bruzzano

I giochi, la piccola giostra tra gli alberi, i panni stesi, donne che parlano tranquille con i loro bimbi in braccio, qualche anziano che cammina lentamente. Insomma, un pomeriggio normale nella tranquillità di una periferia urbana estiva e circondata da palazzoni, se non fosse che, nei grandi spazi dell’oratorio della parrocchia Beata Vergine Assunta in Bruzzano, quelle mamme e quei bimbi, quei ragazzi sono profughi. Accolti, e “adottati” non solo dai volontari, dalla gente, ma anche dal quartiere.. E, allora, per dire «il suo personale grazie di cuore», arriva il cardinale Scola, che incontra gli ospiti, dialoga, si raccoglie in silenzio, ascolta le loro storie in questo angolo della periferia nord di Milano, dove è in fase conclusiva il progetto di accoglienza estiva, iniziato il 22 luglio. Oltre 100 le persone – soprattutto di origine eritrea, etiope, somala – alle quali sono state aperte le porte ogni giorno per un totale di 365 uomini e donne di 13 nazionalità diverse: tante le giovani coppie, ma anche le donne sole con bimbi.

«Siamo contenti che sia venuto a trovarci», dice subito il parroco, don Paolo Selmi cui è accanto don Virginio Colmegna, presidente di Casa della Carità che ha condiviso il progetto, così come uno simile l’anno scorso

Tra il benvenuto musicale di uno dei più giovani volontari Federico, 15 anni, la melodia struggente cantate da Lydia, che, in francese, intona una melodia religiosa del suo Paese natio, il Congo, e il “grazie” a nome di tutti detto da Daniel, eritreo, la commozione è palpabile e profonda. Anche tra i volontari, i medici che offrono gratuitamente la loro opera, la rappresentanza dei 26 reclusi di Bollate che grazie ai permessi previsti dalla legge, qui svolgono un compito per lo più di traduttori e mediatori culturali.     

«Questa è una straordinaria esperienza di civiltà condivisa e di fraternità. Abbiamo ricevuto più di quanto abbiamo dato, nel senso che ogni storia rimane espressa in ogni volto che abbiamo incontrato. Ci sono persone che hanno rinunciato alle ferie per essere qui. La risposta forte da parte della comunità e della cittadinanza c’è stata, a riprova che quando si accompagna un’accoglienza diffusa e competente la risposta arriva», scandisce don Colmega, che tra i profughi a ferragosto ha portato tutta Casa della Carità (alla fine erano oltre cento), per fare festa insieme «Voglio ringraziare per il segno bello che date, perché tutti gli uomini, a qualunque etnia e Paese appartengono, sono figli di Dio e hanno in comune l’esperienza dell’umanità: del nascere, del crescere, del guardare la realtà, di condividere il bisogno, con solidarietà e amicizia, anche gli aspetti dolorosi che voi avete e state ancora sperimentando e che la vita riserva a ognuno di noi», riflette l’Arcivescovo, camminando con semplicità al centro del cerchio di persone che si è spontaneamente creato per ascoltarlo. «Questo bel cerchio é proprio l’espressione di ciò che dobbiamo fare emergere e far vedere in questi tempi difficili, ossia che siamo tutti a immagine di Dio. Quello che avete realizzato rappresenta un segno visibile di quello a cui gli uomini sono chiamati, anche se a causa del male che abita talvolta in noi, non riusciamo a mostrare amicizia e fraternità».

Chiaro il messaggio per la città, come sottolinea ancora Scola: «Voi avete messo al cuore di Milano un segno forte che non si spegnerà. È come lo scintillare di una stella nel cielo di estate che sembra qualche volta sparire, ma che ritorna sempre. Scegliere di usare il proprio tempo del riposo e delle ferie per accogliere rappresenta un segno di vera esperienza religiosa e di autentica cittadinanza. Di questo abbiamo tanto bisogno. Se accoglienza è proposta bene come qui, diviene praticabile».

Poi, il “grazie” diretto agli ospiti, perché «soltanto a partire dal volto e dall’esperienza di chi è davanti a noi siamo invitati a diventare più umani e a cambiare. Con una carezza ricordo i piccoli che fanno all’inizio della loro vita un’esperienza di prova così grande, magari senza genitori e che, tuttavia, con la loro stessa presenza, ci offrono speranza e ci spronano per il futuro. Se viene meno la speranza è impossibile continuare. Il cammino che tutti state facendo è uno sprone per il futuro».  Parole che tradotte in arabo e tigri (uno dei linguaggi parlati in Eritrea) fa nascere spontaneo l’applauso e il successivo lungo silenzio di raccoglimento.

E, dopo il momento conviviale con tanti cibi etnici, la breve visita alla Cappellina della struttura, appena rimessa a nuovo e ancora lo stringersi affettuoso intorno al Cardinale, con quelle notizie che pur tra tanto evidente dolore, fanno bene al cuore, come l’annuncio del futuro battesimo di Matteo, i cui genitori sono passati dall’accoglienza di Bruzzano  a una Casa famiglia.   

 

 

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