Il cardinale Scola ha presieduto in Duomo, gremito di migliaia di fedeli, la solenne Veglia Pasquale. Nella Celebrazione l’Arcivescovo ha anche battezzato otto Catecumeni, conferendo loro i sacramenti dell’Iniziazione cristiana. A tutti ha detto: «l’annuncio del Risorto è fonte di vita nuova e vince ogni paura»
di Annamaria BRACCINI
Nel momento in cui «tempestose tenebre ci avvolgono e il mondo intero pare attraversato da forze annientatrici», «il negativo» non può essere l’«ultima parola» che è, invece, quel Cristo «morto e risorto per tutti» che dona vita nuova.
È la Veglia nella Pasqua di Risurrezione del Signore, madre di tutte le Sante veglie, come la definì sant’Agostino, che si apre, presieduta dal cardinale Scola, in Duomo con l’accensione del cero pasquale – simbolo del Risorto – al lume portato dagli otto Catecumeni che, nella Celebrazione, ricevono il Battesimo, la Cresima e la Comunione. Concelebrano il vescovo ausiliare Martinelli e l’intero Capitolo metropolitano. Lo splendido Preconio pasquale, solenne e tipico ambrosiano risalente alla fine del V secolo-inizio del VI, che risuona in latino tra le navate gremite di migliaia di fedeli, è cantato in latino dal diacono, quale sintesi poetica dell’intera storia della salvezza. Nella Cattedrale, prima in ombra, si accendono le luci e guidati dalla straordinaria ricchezza della Parola di Dio, attraverso nove Letture, «si contempla il miracolo, appunto, della perenne novità». L’evento «unico e universale che è Cristo passo, morto e risorto», per usare le parole dello stesso Arcivescovo.
E, finalmente, il triplice annuncio della Risurrezione “Christus Dominus resurrexit”. peculiare del rito ambrosiano, in tutto simile al Cristos Anesti della liturgia bizantina nella Pasqua ortodossa, viene proclamato, con voce crescente, dal Cardinale ai tre lati dell’altare maggiore della Cattedrale. Le campane, in silenzio dalla Celebrazione della Passione del Signore il Venerdì santo, si sciolgono e torna l’atteso canto dell’Alleluia, assente dalla prima domenica di Quaresima.
È la gioia del popolo di Dio per il Signore risorto, per la sua luce che sconfigge, appunto, le tenebre Il pensiero di Scola, nel silenzio attento dei fedeli, non può che andare all’oggi con i suoi tanti, quotidiani drammi, davanti ai quali l’annuncio della Risurrezione suona, per noi uomini sofisticati uomini postmodermi, quasi «scandaloso». «Quale salvezza mai? Tanto più in questo momento della nostra esistenza e della nostra storia in cui tempestose tenebre ci avvolgono. L’impenetrabile buio della tomba del Sabato Santo, il silenzio assoluto dell’Uomo della croce sbarrato dal masso nel sepolcro, sembrano accentuare l’angoscia per le guerre, il terrorismo, le stragi di innocenti, – ciascuno di noi non può che essere intimamente percosso dall’ultimo terribile episodio dell’Università in Kenia – per le calamità naturali, per i fenomeni endemici di emarginazione, di miseria e di dolore fisico e morale che ogni giorno ormai riempiono le nostre cronache».
Eppure, proprio di fronte alla percezione della presenza di «forze annientatrici» che si insinua in noi, la risposta, suggerisce l’Arcivescovo, è solo la certezza della morte vinta per sempre dal Signore. Come la liturgia della Veglia Pasquale indica attraverso la Parola di Dio – che pur descrivendo le “notti” dell’umanità ed eventi di sacrificio e schiavitù, si spalanca, nel Vangelo della Risurrezione, alla vita –, la speranza affidabile vince «ogni paura e angoscia». Una speranza che è, tuttavia, una precisa responsabilità per l’uomo, per noi qui e ora, domandando «a noi Europei un risveglio, un deciso passaggio, una vera e propria pasqua sulle orme della Pasqua di Gesù Cristo. Un’assunzione diretta di responsabilità per ciascun cristiano, per la Chiesa, per gli uomini delle religioni, per ogni cittadino, per chi guida le Istituzioni nazionali ed internazionali. La gioia della risurrezione ci impone di non lasciar soli quanti sono nella prova. Questa diretta responsabilità, soprattutto in Italia e in Europa non è più rinviabile». Una «decisione» da assumere «personalmente e comunitariamente perché – scandisce l’Arcivescovo – una cosa è certa: nel solco del Risorto dobbiamo donare noi stessi e la nostra vita per la verità, la bellezza, la bontà e la giustizia del vivere umano». Infine l’augurio di buona Pasqua che il Cardinale pronuncia in diverse lingue.
E, allora, l’ingresso nella vita cristiana «che accogliamo con un abbraccio di gioia» degli otto Catecumeni – provenienti quattro dall’Albania, gli altri rispettivamente dal Togo, dalla Cina, dalla Bulgaria e dall’Italia – e il rinnovo delle promesse battesimali da parte di tutta l’assemblea, divengono il simbolo di un domani dove risuona davvero il “Non abbiate paura” del Vangelo della Risurrezione.