Monsignor Mario Delpini, Vicario generale e responsabile della Formazione permanente, illustra significato e obiettivi dei momenti di confronto tra l’Arcivescovo e sacerdoti e religiosi nelle Zone pastorali, che iniziano martedì al Collegio San Carlo per la Zona I
di Annamaria BRACCINI
Martedì 17 gennaio, con quello con i sacerdoti e i religiosi della Zona pastorale I al Collegio San Carlo di Milano), iniziano gli incontri del cardinale Scola con il clero ambrosiano, che quest’anno tornano a essere articolati secondo la scansione delle 7 Zone in cui è divisa la Diocesi. Quale sia il significato di questa scelta l’abbiamo chiesto a monsignor Mario Delpini, vicario generale e responsabile dell’Équipe della Formazione Permanente del Clero: «La Visita pastorale feriale, secondo la definizione dell’Arcivescovo, si realizza non solo per Decanati, per Comunità pastorali e parrocchie, ma anche per alcuni gruppi. Tra questi ultimi il clero è il più “vicino” ed evidentemente il più coinvolto nella Pastorale. In tale orizzonte, l’intenzione del Cardinale è che anche all’interno del clero milanese – quindi comprendendo tutti i preti, i religiosi e i diaconi, vi sia una verifica del cammino percorso».
Cammino che trova un suo punto di confronto nel dialogo con l’Arcivescovo e nelle sue indicazioni?
L’ipotesi è che siano direttamente i preti, prima a livello decanale e, poi, convergendo per Zone, a fare una verifica del percorso fatto, della recezione del Magistero del cardinale Scola, come pure di quello dei suoi predecessori sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo. L’Arcivescovo, traendone qualche considerazione, potrà così offrire qualche sua conclusione.
C’è un tema portante che guiderà la riflessione nelle sette Zone, al di là del senso complessivo dell’iniziativa?
Il tema – o almeno lo slogan che proponiamo con frequenza – è sempre quello della riforma del Clero, attraverso una domanda precisa che formulerei così: «Che tipo di clero stiamo diventando in questo tempo, in questo luogo, con questo Arcivescovo, nel momento storico attuale?». Naturalmente a questi interrogativi deve accompagnarsi una prospettiva di cambiamento rispondendo ai mutamenti e alle sfide che sono all’orizzonte.
Se dovesse indicare un’urgenza immediata nel cammino di conversione del clero ambrosiano, come l’ha chiamato il Cardinale in Duomo durante il Giubileo sacerdotale del 4 novembre scorso, cosa direbbe?
Il nucleo fondamentale della riforma che stiamo perseguendo, indicata anche dal Santo Padre – e, comunque, ciò che è stato identificato con evidenza – riguarda il senso di appartenenza al Presbiterio e al clero diocesano. Ossia, il superamento di una definizione della figura del prete e del diacono solo in base al ruolo che svolge, al fatto di essere parroco, vicario parrocchiale, responsabile di Comunità pastorale, o residente in una specifica realtà. Vogliamo richiamare con chiarezza che il ministro ordinato è tale perché collaboratore del Vescovo, appartenendo al clero diocesano.
L’obiettivo è, dunque, il superamento degli individualismi e di una gestione, per così dire, autoreferenziale del sacerdozio?
Sì. L’andamento un poco “spontaneo” che, in questo tempo, sembra condizionare non poco la vita della Chiesa, deriva proprio dal fatto che ciascuno, nell’ambito che gli è affidato, si senta, magari istintivamente, autoreferenziale. L’idea da trasmettere e da condividere è, invece, che la missione è comune e che la dobbiamo svolgere insieme.