L'Arcivescovo ha presieduto in Duomo la celebrazione nel decennale della morte del fondatore di Cl: «Il suo carisma era cattolico, cioè universale, e fortemente ambrosiano, perché la Chiesa universale precede, ma si realizza nelle Chiesa particolare»
di Annamaria BRACCINI
Nulla anteporre a Cristo, la roccia certa su cui poggiare l’esistenza, perché, «è la vita della mia vita. In Lui si assomma tutto quello che io vorrei, tutto quello che io cerco, tutto quello che io sacrifico, tutto quello che in me si evolve per amore delle persone con cui mi ha messo». Così scriveva monsignor Luigi Giussani in un brano notissimo degli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione del 1997. Anche con queste parole – definite «un frammento prezioso del suo testamento, eredità da trafficare per il bene personale e del Movimento» – lo ha voluto ricordare il cardinale Angelo Scola presiedendo l’Eucaristia a dieci anni dalla morte del fondatore di Cl e nel XXIII anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità. Anniversari per cui in ogni parte del mondo si sono svolte centinaia di celebrazioni.
In un Duomo già gremito un’ora prima dell’inizio della Messa, concelebrata don Julian Carrón, presidente della Fraternità e successore di Giussani, da decine di sacerdoti e dai vescovi Agnesi e Tiribilli – presenti la sorella e il fratello del Servo di Dio, Livia e Gaetano, il sindaco di Milano Pisapia, il vicesindaco De Cesaris, il consigliere regionale Carugo e i presidenti della Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Cesana e della Compagnia delle Opere Scholtz -, l’Arcivescovo richiama il “cuore” dell’intera vita e del carisma di don Gius. Quell’appartenenza al Signore che fu il centro affettivo della sua esistenza, fino al dono della vita. Nella citazione di alcune espressioni del Servo di Dio l’invito è così a una consapevolezza chiara e non sentimentale, pur nell’intenso ricordo che non si spegne, come è evidente nel volto commosso di molti.
«Dare la vita resta il “caso serio” per ogni cristiano. E lo è, in modo stringente, dopo la scomparsa del suo fondatore, per tutti i membri di Comunione e Liberazione. “Questo è un momento in cui la presa di coscienza della responsabilità per ognuno è gravissima come urgenza, come lealtà e come fedeltà. È il momento della responsabilità che del carisma si assume ciascuno”. Dopo dieci anni queste parole risuonano ancora più penetranti e più destabilizzanti perché con cuore puro si faccia spazio al desiderio di Dio» nota infatti Scola, che aggiunge: «Senza mendicare, qui e ora, il perdono, la memoria dell’amato, amatissimo don Giussani illanguidisce in sentimentale ricordo, che inesorabilmente sfocia in rovinosi pregiudizi».
E risuona allora, molte volte, attraverso la citazione del Vangelo delle Beatitudini, il desiderio di avere fede, più fede: «Più fede, più fede – parola drammatica – per vivere gli affetti, il lavoro, il riposo, il dolore nostro e dei nostri cari, la morte; più fede per affrontare il male che compiamo e chiederne perdono; più fede per educare i nostri figli e perché i nostri figli scoprano la convenienza di lasciarsi educare; per contribuire all’edificazione di una vita buona nella società plurale in un tempo in cui uomini e donne – e tra loro tanti cristiani – vengono trucidati, cacciati dalle loro terre e dalle loro case, costretti a una tragica emigrazione; per accettare, Dio non voglia, la possibilità di un nuovo martirio di sangue dei cristiani in Europa».
Una fede invocata, capace di comprendere la logica del dono di sé per gli altri, «logica insuperabile al punto che, se tu non dai la vita, te la prende il tempo», logica di amore che rende possibile la prossimità, poiché «si appartiene a Cristo perché ogni giorno ci si lascia convocare nella comunione con quanti appartengono a Lui. Non c’è personalità senza comunità, ma non c’è comunità autentica se non fa fiorire il volto singolare di ogni persona».
Da qui l’auspicio per un cammino, secondo il carisma di incarnazione del Fondatore, radicato «con sempre maggior decisione, nella vita della Chiesa, mediante un riferimento esplicito e diretto al Papa e ai vescovi in comunione con lui. Non dimentichiamo che il carisma di don Giussani è carisma cattolico, cioè universale, è un carisma fortemente ambrosiano, perché la Chiesa universale precede, ma si realizza nelle Chiesa particolare». Come appunto la Chiesa ambrosiana, cui va il pensiero del Cardinale. «L’Arcivescovo umilmente vi ricorda che approfondire personalmente e comunitariamente il carisma richiede di lavorare nella vigna in cui il Padre ci ha piantati attuando il metodo della comunione ecclesiale, pluriformità nell’unità. Con i cristiani, e non solo, delle Zone pastorali, dei Decanati, delle Comunità pastorali, delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti, la comune missione domanda in questo tempo di travaglio a tutti i fedeli dell’amata diocesi di Ambrogio e di Carlo di percorrere le vie dell’umano, in tutti gli ambienti dell’umana esistenza a partire da quel nucleo fondamentale che è la famiglia, per giungere agli estremi confini della Missio ad Gentes. Tengo molto a questa umile richiesta».
Quasi una risposta le espressioni di gratitudine che, in conclusione, don Carrón rivolge al Cardinale, ricordando l’udienza per cui Cl si recherà da papa Francesco il prossimo 7 marzo. «È questa maturità della fede che avvertiamo come l’urgenza più grande per la nostra vita nelle circostanze attuali, cosi ricche di sfide per il più volte ricordato crollo delle evidenze più elementari e per l’insorgere di nuove forme di violenza, di terrore e di ingiustizia che rendono più urgente la ricerca di un “nuovo umanesimo”. Andiamo pellegrini da papa Francesco per mendicare la freschezza del carisma donatoci nell’incontro con don Giussani, domandando nella sequela di Pietro la grazia di una fede certa, di una speranza instancabile e di una carità ardente».