Il momento conviviale tra l’Arcivescovo e una folta rappresentanza di comunità straniere presenti sul territorio, col saluto portato a ciascun gruppo, lo scambio dei doni e una breve riflessione del Cardinale
di Annamaria BRACCINI
La Sala San Satiro della Basilica di Sant’Ambrogio che si riempie di colori, di abiti tradizionali di tante parti del mondo, di doni che parlano di storie lontane, di bambini. Oggi Milano è questa, la metropoli delle tante etnie, di quel meticciamento – per usare un termine del cardinale Scola – di cui sono eloquente spaccato i gruppi che l’Arcivescovo incontra brevemente prima della celebrazione. Sono le famiglie regionali del mondo che hanno sostituito (giustamente) quelle italiane, come immagine della metropoli che cambia.
Manca una manciata di minuti all’inizio del Discorso alla Città e il saluto dei rappresentanti delle realtà straniere pare quasi anticipare e, in qualche modo, incarnare quel “volto” del nuovo cittadino milanese ed europeo sul quale Scola torna poco dopo nel suo pronunciamento. Un centinaio i presenti con i Cappellani, facenti parte di 18 diverse comunità tra cui, per la prima volta, anche tre nuclei familiari di richiedenti asilo, accompagnati dal direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti. Sono ucraini, eritrei, iraniani, che si aggiungono ai membri della popolosa rappresentanza filippina – arrivata da ben tre comunità diverse -, ai cinesi e ai coreani, ai latino-americani, passando per i libanesi maroniti, i polacchi, chi proviene dallo Sri Lanka, dall’Albania, ma anche dalla Germania. Il clima, festoso tra applausi e flashes, fa comprendere che l’incontro è ormai divenuto un appuntamento al quale non si vuole mancare, come dice don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti, cui è accanto l’Abate di Sant’Ambrogio, monsignor Erminio De Scalzi.
Chiare le parole del Cardinale, prima del saluto con ogni singolo gruppo: «In un passaggio così delicato come è questo cambiamento di epoca che stiamo vivendo, dovete sentire la vostra presenza in città decisiva e carica di responsabilità, al fine di costruire il nuovo cittadino e, per quanto ci sta a cuore, il nuovo credente. Il mio augurio vuole contenere l’auspicio che le fatiche che fate per integrarvi – le conosciamo benissimo – portino frutto, e che questo frutto sia utile soprattutto per le generazioni future, affinché siano rispettose della grande storia che avete alle spalle, ma anche della nuova cittadinanza milanese e italiana».