Il cardinale Scola ha celebrato l’Eucaristia nella parrocchia Santa Lucia a Quarto Oggiaro per il decanto omonimo. Ai moltissimi fedeli presenti ha detto: «La vostra è una testimonianza di vita buona»
di Annamaria BRACCINI
«A Roma è andato Barack Obama, ma da noi, a Quarto Oggiaro, viene il vescovo di Milano». Scoppia l’applauso nella parrocchia di Santa Lucia, gremita di centinaia e centinaia di fedeli per l’arrivo, appunto, del cardinale Scola, quando il parroco, don Roberto Villa, usa le parole di un suo giovane parrocchiano per spiegare con che spirito la comunità abbia atteso questo momento. L’Eucaristia, concelebrata dal vicario di Zona I-Milano, monsignor Carlo Faccendini, dal decano padre Mario Vecchierelli, dai sacerdoti del Decanato, con cui il Cardinale si incontra in serata, è dimostrazione di una vita di Chiesa vivace, particolarmente attiva a livello delle cinque parrocchie che costituiscono il Decanato e piena di iniziative, “dove c’è tanto bene”. Come sussurra un’anziana, “lo scriva, che Quarto Oggiaro non è solo male”. Certo, questo, è un quartiere non facile, che, negli anni, è diventato quasi sinonimo di periferia problematica e che invece, a guardare il verde dell’isola pedonale con la piccola fontana proprio davanti alla Chiesa, appare tutto diverso. Un angolo di verde tranquillo in un bel pomeriggio di primavera, con tanti bimbi che giocano davanti ai genitori, di etnie e religioni diverse, che parlano e siedono sulle stesse panchine.
Forse, lo ha notato, arrivando, anche il Cardinale che infatti, nell’omelia sottolinea il suo personale “grazie”, per il «grande lavoro che, si vede, avete compiuto nel rendere sempre più abitabile e vivibile la vostra Zona. Un quartiere di Milano importante e più che mai decisivo, segnato – continua l’Arcivescovo – da una storia significativa e nel quale, avete fatto fronte alla doppia ondata migratoria», aggiunge, riferendosi agli anni Sessanta – “Santa Lucia” è nata nel 1961 con il progressivo svilupparsi del quartiere – e alla presenza massiccia degli immigrati extracomunitari di oggi.
«Voi siete esempio e simbolo di ciò che sarà la grande Milano e l’Europa del futuro», scandisce.
E di fronte a sfide di civiltà tanto importanti, che vedono i cristiani in prima linea, la domanda che i farisei pongono al “cieco nato”, nella liturgia di questa Celebrazione vespertina vigilare della Quarta domenica di Quaresima, pare più che mai fondativa della capacità di farsi testimoni di vita buona. Non a caso, il Cardinale ripete più volte l’interrogativo del Vangelo di Giovanni, “Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?”. «Questa stessa domanda è ora rivolta a noi perché i nostri occhi sono aperti un’altra volta con l’Azione eucaristica che stiamo vivendo. Siamo qui per un rapporto basato sulla fede che non è qualcosa di meccanico, ma coinvolgimento libero di tutta la nostra persona con il volto di Cristo, misericordia vivente di Dio.
Un Vangelo, quello del “cieco nato”, da sempre interpretato in chiave battesimale – evidenzia ancora Scola – «perché con il battesimo la luce risplende in noi, tra noi e così la possiamo comunicare».
Un battesimo, «assunto, dunque, nella libertà» e che va «approfondito giorno dopo giorno», nel concreto della nostra esistenza, nel lavoro e nella festa, negli affetti e nell’esperienza del dolore, «che è sempre occasione perché si manifesti la gloria eterna di Dio e lentamente veniamo piegati al suo abbraccio dentro la comunità cristiana». E’ l’assunzione della responsabilità battesimale «che significa abbandonare uno stile di vita che dimentica il Padre, resistendo alla potenza dello Spirito del Risorto, vivendo e comportandosi come se Dio non ci fosse».
Da qui, sull’esempio di quanto insegna san Paolo anche nell’Epistola ai Corinti appena letta, «la necessità pubblica ed esplicita di far trasparire il Signore come centro della vita, come ragione per cui impariamo ad amare, per cui costruiamo una famiglia, educhiamo dei figli, per cui vogliamo edificare luoghi di vita bella». Perché anche nella periferia della grande metropoli «la giustizia e la pace siano dominanti, attraverso l’aiuto donato a chi soffre e ai più piccoli: un sostegno generatore di bontà e bellezza».
In una parola, è questa la testimonianza. «Non c’è altra ragione di essere qui come Chiesa che far trasparire Gesù luce delle genti portandola in ogni ambiente di vita. La fede, contrariamente a quanto oggi si dice è luogo di libertà e di verità e scuola di realtà».
Come dice papa Francesco, citato dall’Arcivescovo, «occorre essere comunità di cristiani edificatori di vita buona nella società civile. Non dimentichiamo che il superamento della crisi nel travaglio attuale verrà dalle periferie».
E prima del saluto affettuosissimo al Pastore, che cita i suoi predecessori, tra cui il cardinale Montini – «che speriamo di vedere presto beato» –, il pensiero è per due attenzioni speciali: la solidarietà tra famiglie – «la famiglia è un soggetto della vita della Chiesa e non oggetto di cura pastorale» e per l’oratorio «come punto di aggregazione e di proposta insostituibile per i giovani».
L’appuntamento per tutti è fissato all’8 maggio, «con la Professio Fidei di un intero giorno che come diocesi vivremo attraverso alcuni momenti in diversi mondi della nostra città e ritrovandoci tutti insieme per assistere, intorno alla reliquia del Santi chiodo, a quello che Luca chiama “lo Spettacolo della croce”».