Il magistrato, già presidente del Tribunale di Milano, riflette sui riferimenti dell’Arcivescovo alla sospensione della pena, alle misure alternative al carcere e alle vie di rieducazione

di Luisa BOVE

«Misericordia e giustizia sono due termini che non vanno separati, ma uniti in una visione generale del rapporto con l’uomo, con l’umanità», commenta Livia Pomodoro, già presidente del Tribunale di Milano e ora alla guida del Milan center for Food Law and Policy, che ha ascoltato il Discorso alla città pronunciato dal cardinale Scola a Sant’Ambrogio. «Esercitare la giustizia non significa vendicare alcunché, ma comprendere ciò che è accaduto e fare in modo che la pena (come del resto dice anche la norma costituzionale) da un lato sia adeguata al riconoscimento della responsabilità e, dall’altro, sia il primo passo verso la rieducazione del condannato».

L’Arcivescovo insiste sul valore delle misure alternative al carcere e sulla sospensione della pena attraverso la “messa alla prova”. In un contesto di paura come quello di oggi, a volte alimentato anche dai media, è possibile garantire la sicurezza ai cittadini?
Credo che sia sempre importante far comprendere ai cittadini che le misure alternative e gli istituti come la “messa alla prova” vanno anche nell’interesse di una riconciliazione che supera il momento della paura. È un aspetto molto importante che anche i media dovrebbero mettere in rilievo. Ho fatto per tanti anni il presidente del Tribunale per i minorenni e sono stata la prima ad applicare in Italia la “messa alla prova” per i minori (ho redatto io il Codice di procedura penale), ma devo dire che anche nelle situazioni più difficili l’ipotesi di trasformare un percorso vizioso in un percorso virtuoso ha trovato corrispondenza nei ragazzi e nei giovani cui veniva proposto. La società complessa come quella in cui viviamo fa fatica a comprendere la misericordia rispetto a situazioni di violenza così eclatanti come quelle di questi giorni. Non dobbiamo però dimenticare che va salvaguardata l’umanità della persona, anche se detenuta.

Le leggi, aggiunge il cardinale Scola, possono solo favorire un percorso di rieducazione dei detenuti, molto invece può fare la società civile…
Non c’è dubbio che la partecipazione a progetti di rieducazione, che vedono i cittadini coinvolti per la parte di umanità che loro rappresentano, è sicuramente la strada più giusta. Come si può fare? Cercando di rieducare al lavoro, all’esercizio dei diritti fondamentali che al tempo stesso significa esercitare dei doveri. Insegnare anche solo questo ai detenuti può essere di grandissima forza e speranza per il futuro.

L’Arcivescovo invita tutti a rispondere alla «tragedia della fame nel mondo». Come presidente del Milan Center for Food come risponde a questo appello?
Noi stiamo facendo uno sforzo grandissimo, ma non si tratta solo di rispondere alla fame nel mondo, che ci dovrà vedere protagonisti, avendo realizzato un Expo sulla nutrizione del pianeta. È importante tener conto che col passare del tempo il mondo sarà diviso in due realtà: i nutriti per eccesso e i nutriti per difetto, quelli che non hanno nutrimento e quelli che ne hanno troppo, con tutti i problemi che questo comporta. E soprattutto bisognerà tener conto che alle nuove generazioni non possiamo consegnare un pianeta di cui abbiamo rovinato tutte le risorse per gli uomini. Non si può fare soltanto profitto, rispetto a situazioni di grave povertà che ci sono in tutto il mondo, anche nei Paesi ricchi. In questo momento Milano è una città stupenda, ricca, vivace, piena di iniziative, ma è anche una città che ha bisogno di trovare l’anima. E l’anima non è genericamente quella delle periferie di cui tanto si parla: è l’anima del quotidiano, di chi riconosce nell’altro il suo compagno di viaggio a cui deve dare qualcosa e dal quale otterrà sicuramente molto».

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