Nel 2000 il Parlamento italiano approvava la legge che «riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati».
di Luca FRIGERIO
Auschwitz, Treblinka, Mauthausen…Nomi che non si possono pronunciare come se nulla fosse. Nomi che evocano abissi di orrore, che gridano il disfacimento dell’umanità. Luoghi reali, ma la cui realtà sfugge a qualsiasi tentativo di restituirla con le parole. E ciò nonostante, pur nella consapevolezza di questa impossibilità, parlare di Auschwitz, di Treblinka, di Mauthausen è un imperativo morale, un dovere civile. Rinnovarne il ricordo, per quanto doloroso possa essere, per quanto assurdo possa sembrare, è forse l’unico modo per tentare un riscatto del genere umano, per sperare che ciò che ha permesso questo abominio non si ripeta più. Mai più.
Anche sulla coscienza storica del nostro Paese pesa come un macigno la colpa delle persecuzioni ebraiche. Sulla coscienza dell’Italia fascista , certamente, ma anche su quella di quanti – a partire dalla fine degli anni Trenta sino al termine della guerra – nulla fecero, per indifferenza o codardia, per opporsi alla tragica ingiustizia delle leggi razziali prima, e alle disumane violenze dei rastrellamenti e delle deportazioni poi, durante la Repubblica di Salò.
I provvedimenti contro gli ebrei italiani furono decisi nel settembre del 1938, e ratificati nelle successive sedute autunnali del Gran Consiglio fascista. Una situazione abberrante, soprattutto per una nazione in cui, al di là di rari episodi, non era mai esistito il razzismo o l’antisemitismo come fatto culturale, a differenza di altri Paesi dalla lunga e vantata democrazia, come la Francia.
Ma perchè allora Benito Mussolini volle imporre queste leggi razziali? «Sostanzialmente per due motivi», spiega il professor Ivano Granata, docente di storia contemporanea all’Università di Milano. «Innanzitutto come coronamento dell’alleanza politica con la Germania, sebbene il duce prese questi provvedimenti non su imposizione tedesca ma in piena libertà. In secondo luogo, quelle leggi razziali erano estremamente legate alla contemporanea campagna fascista antiborghese». Una campagna in cui razzismo e antisemitismo erano forti argomenti a sostegno del nuovo mito: quello della superiorità della razza italica.
Ma che effetto ebbero le leggi razziali sulla popolazione? «In generale la campagna antisemita non venne compresa dagli italiani», precisa Granata. «Ma fu invece approvata, con ben poche eccezioni, dagliambienti intellettuali, dimostrando ancora una volta un rassegnato allineamento della cultura italiana dell’epoca alle posizioni del fascismo». Di fatto, tutto il Paese risentì negativamente di quei provvedimenti.Molti infatti furono gli ebrei che abbandonarono l’Italia , e tra di essi affermati imprenditori e noti studiosi.
Se le disposizioni contro la comunità ebraica in Italia furono indubbiamente dolorosissime e inique, bisogna ricordare comunque che fino alla caduta del fascismo furono piuttosto rari e isolati i casi di violenza. La situazione cambiò drammaticamente con la creazione dellaRepubblica sociale, stato fantoccio nelle mani dei tedeschi. Fu proprio a partire dall’autunno del 1943, infatti, che anche in Italia avvenne una vera e propria persecuzione contro gli ebrei. Le milizie armate dei repubblichini rastrellavano il territorio, catturando e uccidendo, macchiandosi di crimini efferati di cui ancor oggi persiste l’angosciante ricordo. Quasi novemila furono le vittime italiane dell’oppressione antiebraica: di questi solo mille sopravvissero ai campi di sterminio.