Questa la formula che ha ispirato il rinnovamento del periodico, esplicitato nell’ultimo numero in distribuzione, dal titolo «L’Islam al crocevia. Tradizione, riforma, jihad»
di Martino DIEZ
Chi sono i “veri” musulmani? Il terrorista del venerdì di sangue tunisino? O l’imprenditore che, per fermarlo, gli tira le tegole dal tetto e dichiara di aver fatto solo il suo dovere, «come tunisino e come musulmano»? Sono i troppi abitanti di Mossul che si accomodano con noncuranza nelle case dei loro vicini cristiani cacciati dai jihadisti? O sono il professore libanese per cui le efferatezze di Isis hanno avuto l’effetto di rivelare a tanti musulmani di essere più vicini ai concittadini cristiani che ai loro correligionari fondamentalisti? Sono tanti i tasselli del mosaico e non è facile decifrare il disegno complessivo. Per provarci occorre uno sforzo di sintesi, perché vedere non significa automaticamente capire. Occorre passare dal racconto alla valutazione critica.
È proprio questa formula, dal racconto alla valutazione critica, ad aver ispirato il rinnovamento della rivista Oasis. Il primo numero della nuova serie, L’Islam al crocevia. Tradizione, riforma, jihad, parte da un paradosso che il pensatore tunisino Hamadi Redissi sintetizza così: «Tutti parlano a nome dell’Islam, ma non dello stesso Islam; ognuno lo reinventa nel presente». Tre sono le idee che accompagnano il lettore a decifrare una cronaca sempre più tragica.
La prima tesi è che questa molteplicità di posizioni, che rende difficile individuare oggi il “vero” Islam, sia il frutto di un preciso percorso storico. Diversi articoli, in gran parte di intellettuali del mondo musulmano, descrivono allora gli alti e bassi di quasi due secoli di confronto con la modernità, tra aperture, false partenze e sentieri interrotti. Emerge come una costante, anche nei pensatori apparentemente più riformisti: il pericolo di un’ideologizzazione della religione e la tendenza a trattare la tradizione alla stregua di una “cassetta degli attrezzi” da cui attingere risposte pratiche e “moderne” secondo le esigenze del momento. Ma questo metodo ha mostrato ormai i suoi limiti e chiede urgentemente di essere superato.
Di qui – seconda idea guida – l’immagine del crocevia, che dà il titolo alla rivista. I musulmani infatti sostano oggi a un bivio, al centro del quale sta tragicamente la questione della violenza. In Medio Oriente è in atto un processo di “de-civilizzazione”, osserva con amarezza lo storico curdo Hamit Bozarslan, e l’idea di poterlo amministrare da lontano, attraverso compromessi di real-politik, è pericolosa e criminale. In Siria o in Iraq si può davvero pensare di limitarsi a “gestire la barbarie”, che è poi il titolo di un pamphlet islamista di qualche anno fa?
E tuttavia proprio la gravità della situazione può diventare – terzo passo – una risorsa, perché è sempre più evidente che dalla crisi attuale e dal terrorismo non si esce con aggiustamenti parziali o concessioni simboliche. Il compito però è immane e probabilmente superiore alle forze del solo mondo islamico e proprio per questo c’è assoluta necessità del contributo dei cristiani, d’Oriente e d’Occidente. Nell’era globale, infatti, ogni alternativa va costruita insieme, tanto più che tutte le civiltà religiose, volenti o nolenti, hanno “nella coda dell’occhio” quanto succede altrove.
Si dice spesso e giustamente che l’altro rivela qualcosa di me. Ma perché questo possa accadere, occorre che l’altro non sia ridotto a pretesto per una riflessione autoreferenziale. Occorre cioè accettarlo fino in fondo, capire il significato che dà alle parole e la storia da cui viene. Solo attraverso questo confronto, culturale nel senso nobile del termine e a cui anche questo numero di Oasis desidera contribuire, potrà dispiegarsi fino in fondo la provocazione racchiusa nell’incontro.