In vista della Veglia di Pentecoste dedicata per volontà della Cei ai «martiri contemporanei», il Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, riflette dal suo osservatorio privilegiato. Preghiera nelle comunità italiane, e non solo
di padre Pierbattista PIZZABALLA
Custode di Terra Santa
Ancora oggi nelle diverse parti del mondo Cristo è accolto da alcuni, rifiutato da altri. È soprattutto al Medio Oriente e al Nordafrica che si pensa quando si parla di persecuzione dei cristiani. Iraq, Siria, Libia e diversi altri Paesi arabi e musulmani sono oggi al centro di profondi e forse irreversibili cambiamenti sociali, politici ed economici che, come sempre in Medio Oriente, coinvolgono anche l’aspetto religioso, nel quale questi ambiti si confondono facilmente.
Per molte comunità cristiane la situazione è drammatica. In Iraq e nel Nord della Siria interi villaggi sono stati completamente svuotati della loro antica presenza cristiana. Tutti sappiamo cosa è accaduto a Mossul, in Iraq, l’estate scorsa. Aleppo, la città cristiana per eccellenza della Siria, è da mesi sotto assedio e la locale comunità cristiana, già decimata dall’emigrazione, si sta interrogando se Isis entrerà in città come ha fatto a Mossul, e che fare. Là dove ancora possono rimanere, in diverse parti della Siria, è comunque proibito indossare croci, usare vino. È necessario nascondere i simboli cristiani anche all’interno di case, chiese e istituzioni religiose: statue, croci e altri simboli devono assolutamente essere rimossi. Le proprietà dei cristiani vengono confiscate a libero arbitrio delle autorità locali.
Le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo e della persona e la coscienza comune non permettono più che si possano commettere simili crimini. Nessuno deve assistere inerme a tutto ciò.
Eppure, negli ultimi decenni, Siria ed Iraq erano il simbolo della convivenza religiosa. Cosa è cambiato e perché sta accadendo tutto questo?
Gli interessi della comunità internazionale legati alle questioni geopolitiche ed energetiche hanno certamente un ruolo in questi enormi cambiamenti, così come la guerra tra sunniti e sciiti. Il desiderio di avere territori “integri” comporta anche la loro “pulizia”. I cristiani sono poi erroneamente visti come una presenza occidentale o come una comunità allineata con le dittature ormai finite dei diversi Paesi in questione.
Tutto questo, comunque, non basta a spiegare tanta ferocia. Nel mondo islamico esiste da molto tempo un insegnamento errato e deviato sui cristiani che ha nutrito e fornito la base ideologica per i fanatici che oggi ci terrorizzano. Il dialogo con l’Islam, oggi più che mai necessario, non può prescindere dalla necessità di purificare le proprie letture della storia, il rapporto con la modernità e con l’alterità. L’altro non è una minaccia ma una realtà da accogliere nella propria visione religiosa, senza per questo confondersi in esso.
Ma non dobbiamo generalizzare o lasciarci prendere dallo sconforto. Il futuro del Medio Oriente, quali che siano le conclusioni di questo cambiamento, vedrà ancora e necessariamente cristiani e musulmani l’uno accanto all’altro. Non ci sono alternative.
Isis ci chiama con disprezzo “il popolo della croce”. È singolare che proprio i nostri persecutori ci conoscano così bene. Noi infatti siamo quelli della croce. Che non significa solo sofferenza e morte, ma innanzitutto dono gratuito e amore.
Il cristiano potrà essere privato dei suoi simboli religiosi, gli si potrà proibire di portare la croce, ma nessuno gli impedirà di testimoniarla con fedeltà. Dobbiamo fare di tutto perché il mondo prenda coscienza di questa barbarie e cercare di fermarla. Sappiamo comunque che la croce non necessita delle nostre strategie. Essa trionferà. I tanti martiri e testimoni di oggi ce lo dimostrano.