La religiosa albanese, che a Calcutta spese la sua vita al servizio degli ultimi, beatificata da Giovanni Paolo II nel 2003, viene proclamata santa da papa Francesco. Ne parla padre Brian Kolodiejchuk, postulatore della causa di canonizzazione

di Rita SALERNO

Madre Teresa di Calcutta

Domenica 4 settembre, nel corso della Santa Messa celebrata in mattinata in Piazza San Pietro, papa Francesco presiede il rito della canonizzazione della Beata Teresa di Calcutta (1910-1997). Ecco il profilo della religiosa tracciato da padre Brian Kolodiejchuk, Superiore generale dei Missionari della Carità e postulatore della causa di canonizzazione, in un’intervista rilasciata a Il Segno, mensile della Chiesa ambrosiana.

 

Il 4 settembre la «piccola matita di Dio» sarà elevata alla santità. La cerimonia di canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta in Piazza San Pietro si preannuncia come uno degli eventi più importanti del Giubileo della Misericordia, come l’esposizione delle reliquie di San Pio da Pietrelcina e di San Leopoldo Mandic, che tanti fedeli ha richiamato nella Basilica Vaticana in febbraio.

Proprio lei – «la serva degli ultimi», come la definì San Giovanni Paolo II -, la piccola suora albanese Anjezë Gonxhe Bojaxhiu (1910-1997), fattasi indiana, missionaria al servizio di una umanità dolente, è stata una testimone di misericordia per tutta la sua esistenza. Fondatrice delle Missionarie della Carità, Nobel per la Pace nel 1979, nel 2003 fu proclamata beata da Giovanni Paolo II. Eppure, per una lunghissima stagione della sua vita, sperimentò il silenzio di Dio, sentendosi abbandonata da Lui. «Era il suo modo di vivere in solidarietà con tante persone l’esperienza dell’oscurità spirituale – racconta padre Brian Kolodiejchuk, Superiore generale dei Missionari della Carità e postulatore della causa di canonizzazione di Madre Teresa -, perché aveva avvertito la solitudine di tante persone, in Occidente come in India, che, pur cercando Dio, non riuscivano a trovarlo. Madre Teresa aveva fatto un voto, di cui si è saputo solo dopo la sua morte, di non dire mai di no a qualsiasi richiesta di Gesù e a questa promessa si è aggrappata anche nei momenti più difficili».

Si potrebbe dire che “misericordia” è stato il secondo nome di Madre Teresa che, in ogni suo gesto, ha voluto rispondere al grido di Gesù sulla croce: «Ho sete!». Quel grido che tanto l’aveva colpita da averlo voluto sempre presente, con un’insegna, sui muri delle case dove le sue Missionarie della Carità anche oggi servono gli ultimi tra gli ultimi. «Lavorando per tutto questo tempo alla causa di canonizzazione – precisa padre Brian, che le è stato accanto per vent’anni -, ho potuto analizzare diversi aspetti della sua vita che mi hanno sorpreso, soprattutto per la virtù della carità con la quale ha saputo controbattere la lunga stagione dell’oscurità spirituale».

Una fede eroica, salda e senza compromessi, sottolinea padre Brian, che spicca ancor più proprio per questo doloroso e prolungato periodo di prova: «Posso dire che Madre Teresa risaltava nella fede. Una fede nuda con cui si alzava la mattina, diceva il Rosario fino a sera e faceva fedelmente ogni cosa. Pur avendo interiormente questo senso di vuoto e di oscurità che riempiva la sua esistenza, era riuscita a colmarlo con una vita attiva, contraddistinta dalla gioia e dal sorriso. Essere riuscita a nascondere questo vuoto interiore, a mio modo di vedere, equivale a una forma di amore eroico. Soprattutto se analizzato alla luce della grave forma di depressione di cui soffriva. Perché era più preoccupata per gli altri e della loro sofferenza che per se stessa. L’aveva imparato da Santa Teresa. Sorrideva anche quando suo padre manifestava i segni della malattia mentale di cui tutti le attribuivano la responsabilità. Lei diceva: “Soffro, però sorrido ancora di più”. Era questo il suo modo di agire: affrontare tutto con un sorriso: “Voglio essere una apostola di gioia anche nell’oscurità”. Quando si capisce in quale contesto è maturata questa fede, molte cose si chiariscono».

L’immagine di Madre Teresa che si china sui lebbrosi riporta alla memoria un noto scambio di battute tra la «piccola matita di Dio» e lo scrittore di viaggi Bruce Chatwin. A quest’ultimo, che in un serrato confronto le disse che nemmeno per un milione di dollari avrebbe baciato un lebbroso, Madre Teresa prontamente replicò che neppure lei l’avrebbe fatto mai. Se non per Cristo. «Era il suo modo di esprimere una visione di fede che le faceva intravedere Gesù in ogni persona – sottolinea ancora padre Kolodiejchuk -. È una forma di misticismo amare Cristo in ogni essere umano. Non è qualcosa di naturale, ma è grazie alla fede e al soprannaturale che tutto questo diventa possibile».

Madre Teresa è stata, dunque, un segno concreto della misericordia di Dio: «Tutto il lavoro delle Missionarie della Carità è stato ed è un’opera di misericordia corporale e spirituale – dice ancora padre Brian -. Madre Teresa non pronunciava spesso la parola “misericordia”. Era una delle tante parole che usava. Prediligeva la parola “tenerezza”, riconducendola a Dio. Era solita parlare dell’amore tenero di Dio per noi, richiamando l’immagine cara al profeta Osea, questo senso di misericordia e di amore, molto personale».

Icona della tenerezza di Dio, Madre Teresa prefigura il magistero missionario di papa Francesco che vuole una Chiesa in uscita, dalla parte dei poveri. Padre Brian si congeda con un ricordo che gli è particolarmente caro, «legato a mia sorella, anche lei religiosa, che scoprì di avere un cancro dopo i voti definitivi. Fu Madre Teresa a decidere che fosse curata a New York e non a Roma, anche per permetterle di essere seguita dai nostri familiari. In questo era la tipica Madre, molto attenta a tutti i dettagli e che lasciava trasparire l’atteggiamento materno con le sue consorelle».

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