Il cappellano del carcere di Opera riflette sul Discorso alla città e affronta i temi che più lo riguardano per il suo ministero
di Luisa BOVE
Don Antonio Loi, cappellano presso la Casa di Reclusione di Opera, ricorda ancora con piacere il «gesto profetico» del cardinale Scola quando il giorno dell’Epifania ha invitato a pranzo alcuni detenuti. «È stato davvero un gesto straordinario che ha abbattuto tanti muri». Nei giorni scorsi ha letto e ascoltato il Discorso alla città dell’Arcivescovo e con lui affrontiamo i temi che più lo riguardano per il suo ministero in carcere.
Misericordia e giustizia, per lei che incontra i detenuti tutti i giorni, che cosa significa?
La giustizia non mi compete, perché le persone che arrivano in carcere sono già state condannate, non sono io a dover dare un giudizio su di loro, ma le accolgo per quello che sono, ciò che hanno commesso mi interessa relativamente e non lo chiedo. Quando entro in confidenza con qualcuno di loro uso questa espressione: «La tua vita finora è stata questo, se capisci alcune cose, come vuoi viverla da oggi in poi?». Questo secondo me è uno spazio di misericordia. In fondo è l’esperienza del Vangelo, delle persone che hanno incontrato Gesù: «Io non ti condanno, va’ e non peccare più!». Poi ognuno ha le sue fatiche e i suoi ricordi, sia dal punto di vista umano sia della fede.
L’Arcivescovo ha parlato della dignità come la strada da cui passa anche il recupero…
Certo. Vorrei ricordare una frase del cardinal Martini che diceva: «L’uomo è più grande del suo peccato». È quello che anche l’arcivescovo Scola ha espresso nel suo intervento. La perdita della dignità avviene nel momento in cui si commette un reato. A volte noi carichiamo la persona per tutta la vita per ciò che ha fatto, per un gesto. Poi è vero che ci vuole una conversione, però davanti a Dio e alla società ogni uomo è più grande di ciò che ha commesso, dei suoi sbagli, dei suoi reati.
Ha già visto passi concreti in questo senso?
L’ho sperimentato in qualche detenuto, soprattutto tra quelli che partecipano ad attività, per esempio nel laboratorio di liutai. Ci sono persone che scoprono capacità, perché si offrono opportunità che qualcuno non ha mai avuto nella vita. Lo sperimento quotidianamente. Poi che cos’è la libertà lo può dire solo chi è dentro perché l’ha persa, ne è privato e arriva all’essenzialità della vita. L’altro giorno però un detenuto mi ha detto: «Ma che libertà ci aspetta fuori», pensando al terrorismo e a certi poteri della società…
Per il Giubileo della Misericordia avete già previsto un cammino?
Grazie al direttore abbiamo avuto la possibilità con 80 persone di vedere su uno schermo l’apertura della Porta Santa. Anche noi abbiamo vissuto questo gesto. Abbiamo messo un “cancello santo” in cappella, come quello che c’è nelle celle, e lo abbiamo aperto simbolicamente. Il Papa ha indicato come luogo di santificazione la porta della cella, per cui consegneremo a tutti i detenuti un Tau (che va bene anche per i musulmani) da mettere sulle sbarre. Poi durante l’anno compiremo altri gesti e offriremo la possibilità di confessarsi anche con altri preti esterni, ci sono comunque detenuti che si accostano periodicamente a questo sacramento.
Opera, carcere di massima sicurezza, da anni ospita anche detenuti comuni, possibili beneficiari delle misure alternative. Un tema caro al cardinale Scola…
Questa è la chiave di lettura di tante cose. Prima il numero delle persone che erano in carcere in Lombardia era di 9 mila detenuti, mentre adesso è molto diminuito. Secondo i dati del Tribunale chi vive solo la carcerazione per il 70% reitera il reato, mentre con le pene alternative si scende al 19%. Con le misure alternative si riesce ad offrire una vita diversa, possibile e raggiungibile. Tuttavia a Opera, tra lavoro, attività teatrali, laboratori di lettura, ci sono diverse opportunità importanti. Quest’anno è stato aperto un laboratorio, voluto dal direttore, per produrre le ostie e io celebrerò la Messa di Natale con quelle fatte dai detenuti.