Diffusa la Traccia per il 5° Convegno ecclesiale nazionale. Sull’esempio di papa Francesco e sull’onda della Evangelii Gaudium, bisogna «uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare». Monsignor Cesare Nosiglia sottolinea «la voglia di camminare insieme, di assaporare il gusto dell’essere Chiesa, qui e oggi, in Italia»
di M. Michela NICOLAIS
Declinare cinque verbi – uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare – per ritrovare il “gusto per l’umano”. Comprendere i segni dei tempi “per illuminare il buio dello smarrimento antropologico contemporaneo con una luce”, che è il “di più” dello sguardo cristiano, in un mondo in cui “tutto sembra liquefarsi in un brodo di equivalenze”.
In tempi di “nubi minacciose”, quelle di una crisi che “ha appesantito la dinamica sociale e culturale del Paese”, la Chiesa italiana si prepara al Convegno di Firenze (9-13 novembre 2015) con una Traccia (in allegato il testo integrale) improntata all’“urgenza di mettersi attivamente e insieme in movimento”, indicando però all’uomo di oggi una “direzione da intraprendere”, in un’epoca segnata dalla “carenza di bussole”.
Lo stile ecclesiale è quello proposto e testimoniato da Papa Francesco con la sua “Chiesa in uscita”: quella che al Convegno di Verona, nel 2006, i vescovi hanno definito “Chiesa missionaria”, chiamata a spendersi per la persona nei diversi ambiti di vita. Sono le “periferie esistenziali” – la “priorità” della comunità cristiana. Perché gli ambienti della vita quotidiana – la famiglia, l’educazione, la scuola, il creato, la città, il lavoro, i poveri e gli emarginati, l’universo digitale e la rete – sono diventati, in questi dieci anni, “frontiere”: non da difendere creando “muri”, ma da far diventare “soglie”, luoghi di incontro e di dialogo “senza i quali rischiano di trasformarsi in periferie da cui si fugge: abbandonate o dimenticate”.
La Traccia sarà accompagnata sul sito web da “materiali di approfondimento” a cui chiunque potrà dare il proprio contributo, anche attraverso i social media (Facebook: www.facebook.com/firenze2015; Twitter: www.twitter.com/firenze2015, @Firenze_2015).
Il “gusto per l’umano”
Ci vuole un “gusto per l’umano”, per “leggere i segni dei tempi e parlare il linguaggio dell’amore”. Ne è convinto monsignor Cesare Nosiglia, presidente del Comitato preparatorio, che firma la presentazione della Traccia, “un testo aperto” che parte dalla constatazione che nelle nostre comunità esiste “un bisogno di discernimento comunitario di fronte alle sfide del mondo contemporaneo”, ma anche “la voglia di camminare insieme, di assaporare il gusto dell’essere Chiesa, qui e oggi, in Italia”. L’opzione di fondo: “Partire dalle testimonianze che sono esperienza vissuta della fede cristiana e che si sono tradotte in spazi di ‘vita buona del Vangelo’ per la società intera”.
Quel “di più” che “fa la differenza”
“A fronte di un Paese descritto dai media e dalle statistiche come sfilacciato e stanco”, nelle nostre chiese locali emerge “un’immagine alquanto diversa”: si vive “in prima linea”, e si affrontano le sfide con quel “di più” che “segna la differenza rispetto ai pur preziosi sforzi di altri soggetti impegnati a migliorare la qualità del vivere sociale”.
Ascoltare e parlare con la vita
“Un umanesimo in ascolto, un umanesimo concreto, un umanesimo plurale e integrale, un umanesimo d’interiorità e trascendenza”: sono le quattro figure dell’umano al centro della Traccia. “Partire dall’ascolto del vissuto, per cogliere la bellezza della vita in atto”, il primo imperativo: “ascoltare l’umano significa vedere la bellezza di ciò che c’è, nella speranza di ciò che può ancora venire”. Concretezza significa “parlare con la vita”, per “combattere l’indifferenza con l’attenzione all’altro”. Con tanti “miracoli silenziosi”, “si arriva ben al di là di quel che si pensava”. Umanesimo è un termine che “si declina al plurale”: ci vuole “uno sguardo d’insieme, l’uno stretto accanto all’altro, quasi tessere di un mosaico”, per cogliere la bellezza di “una famiglia umana segnata non dall’omologazione ma dalla convivialità delle differenze”, e caratterizzata da “legami di figliolanza e fratellanza” da accompagnare con la “prossimità”, soprattutto davanti alle fragilità vecchie e nuove, alle “fabbriche di povertà”. Nessun dualismo tra verità e pratica, niente “professionisti dello spirito”.
Un uomo senza senso?
“Nessun criterio condiviso, per orientare le scelte pubbliche e private, tutto si riduce all’arbitrio delle contingenze”: esistono solo “schegge di tempo e di vita, spezzoni di relazioni”, e il rischio di “un uomo senza senso” è in agguato. In un contesto di crisi che ha “allentato i legami” e “indebolito i nessi” del volto umano, si rimane “centrati su se stessi” e impegnati in un “corpo a corpo” con l’altro. Il “male” del nostro tempo è l’autoreferenzialità, che “rende asfittica la nostra vita”. Eppure, nonostante tutto, l’uomo di oggi ha “un enorme bisogno di relazione”, che emerge dalla rete ma anche dalla “solidarietà intergenerazionale all’interno delle famiglie”, dagli stili di vita più sobri, dall’impegno a tutela della legalità, dal mondo della scuola e del volontariato, dalla straordinaria capacità di accoglienza degli immigrati: tutti segnali “poco notiziabili, ma concreti”: “Occorre prima di tutto imparare ad ascoltare la vita delle persone, per sorgere i segni di un’umanità nuova che fiorisce”. Il “metodo” di Gesù è la testimonianza, e le due “direttrici principali di un nuovo umanesimo” sono la cura e la preghiera.
Le frontiere e le periferie
Oggi i luoghi sono diventati “sempre più frontiere: linee di incontro-scontro tra culture, e anche tra visioni del mondo diverse di una stessa cultura”. La famiglia, ad esempio, “è attaccata da tanti fronti”, con bambini che “vivono tra diverse case, costretti a fare i conti con complesse geografie relazionali”. Al centro della Traccia, le cinque vie proposte da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium. Uscire, per non correre il rischio dell’“inerzia strutturale” e “liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto”. Annunciare, perché “la gente ha bisogno di parole e di gesti” e di persone che sappiano “prendere la parola in una cultura mediatica e digitale”. Abitare, per “continuare a essere una Chiesa di popolo” ripensando i propri “modelli” a partire dalla consapevolezza che “una Chiesa povera per i poveri” non è un “optional”. Educare, per ricostruire le “grammatiche educative” e immaginare “nuove sintassi”. Trasfigurare, cioè assicurare la “qualità della vita cristiana”.