Si è svolta sabato scorso la XV sessione del Consiglio pastorale diocesano presieduto dal cardinale Angelo Scola. Il dibattito si è svolto intorno al tema del prossimo convegno di Firenze a partire da alcune parole chiave: uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare
di Claudio MAZZA
Nell’ultimo week end di novembre si è tenuta, presso Villa Sacro Cuore di Triuggio, la XV sessione del Consiglio pastorale diocesano. In agenda il tema del prossimo convegno di Firenze: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”. Ai consiglieri erano richieste indicazioni per un cammino pastorale della Chiesa ambrosiana in vista dell’appuntamento ecclesiale nazionale. In apertura dei lavori il Vicario generale, mons. Mario Delpini, ha presentato mons. Paolo Martinelli quale vescovo delegato per il Cpd e la nuova segretaria, Valentina Soncini, che si è avvicendata con Alberto Fedeli.
A mons. Luca Bressan, vicario episcopale e membro della commissione centrale per la preparazione del convegno di Firenze, è toccato il compito di dettare alcuni spunti di riflessione utili a sviluppare il dibattito assembleare a partire dalla traccia proposta dalla Cei. «Il cammino verso Firenze è un cammino di tutta la comunità cristiana che procede con stile sinodale e il discernimento di cui abbiamo bisogno è la capacità di aiutare la Chiesa, ma anche le nostre comunità, a mettersi in sintonia per capire come lo Spirito ci spinge al cambiamento», nella consapevolezza che «stiamo vivendo un’epoca di grandi trasformazioni che, se non vengono tematizzate, generano disorientamento e artificialità».
Come lavorare a questo discernimento? Il documento preparatorio al Convegno «ci invita a sostare nei luoghi della vita con sguardo nuovo, con gioia e coraggio evangelici e compiendo quei passi concreti sintetizzati nei cinque verbi: uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare». La meta verso cui andare è dunque quella che conduce all’aderenza alla vita, alla richiesta di profondità e autenticità che sorge dalla stessa, al superamento della frammentarietà, alla capacità di mettere in gioco dinamiche positive di relazione e di interrelazione, alla disponibilità alla ricerca culturale nuova. Tutto ciò può chiedere anche di prendere le distanze da strutture, sintesi concettuali e abitudini che non sono più vitali.
Di qui ha preso avvio il dibattito assembleare, partendo dalle relazioni delle Zone pastorali che hanno messo a fuoco soprattutto il verbo educare. Anche il nostro prepararci a vivere, ad esempio, Expo 2015 può essere un’occasione contingente per riflettere e testimoniare un nuovo umanesimo. Nella consapevolezzaperò che l’operazione “educare” coinvolga più vasti orizzonti e realtà a noi pastoralmente più vicini. Alcune riflessioni e sperimentazioni sono già in essere, altre sono in progress.
Dagli interventi dei cnsiglieri è emerso chiaramente che l’evento fondante della vita dei cristiani è l’incontro con Gesù; sembra però che nel nostro tempo sia venuta a mancare questa certezza. C’è quindi l’esigenza di riuscire a rendere questo incontro ancora vivo ed entusiasmante, sia per coloro che frequentano le nostre comunità sia per chi si è intiepidito o allontanato dalla Chiesa, sia per chi è arrivato tra noi da altre culture. Di qui l’idea di proporre una pluralità di cammini che permettano agli adulti delle nostre città di incontrare o di re-incontrare Gesù, comunitariamente e personalmente. La gestione di tali incontri dovrà vedere collaboranti sacerdoti, consacrati e laici, valorizzando i talenti di ciascuno.
La riflessione sull’educare ha poi evidenziato alcune positività: «Avviene più efficacemente tramite un’azione integrata tra tante forze/soggetti che si mettono in gioco; sollecita e promuove un’attenzione e un’azione intergenerazionale; si avvale di una testimonianza comunitaria di adulti e giovani credenti, capace di offrire un contesto di condivisione in un oggi culturalmente molto secolarizzato. Purtroppo la comunità educante è oggi in fieri, indirizzata verso una direzione da percorrere con pazienza e con una crescente capacità di aprirsi anche a soggetti educativi extraecclesiali».
Anche gli altri quattro verbi interpellano le nostre comunità: ma la loro coniugazione prende maggior dinamismo se le nostre Comunità diventano “Comunità educanti” che sappiano offrire contenuto, metodo e stile al cammino missionario della nostra Diocesi. Ecco in sintesi quanto è emerso dal dibattito.
Uscire.«Prendere iniziative, festeggiare, coinvolgersi sono i verbi di movimento che Papa Francesco indica, riscoprendo la dimensione teologica nell’ordinario. Ciò può significare: accoglienza della quotidianità; capacità di vivere dentro la realtà quotidiana senza erigere nuove strutture (magari uscendo da quelle non più adeguate); capacità di relazionarsi ai luoghi laici come quelli dello sport, del vivere civile e sociale in relazione con nuovi soggetti; andare casa per casa per incontrare le persone; uscire come capacità di andare incontro a Gesù nei fratelli, soprattutto incontrandolo nei poveri. Nella pratica pastorale l’invito è rivolto soprattutto verso gli adulti nell’età di mezzo».
Annunciare. Significa «porreattenzioni a cammini che intercettino tutte le fasce d’età e non solo i ragazzi dell’iniziazione cristiana, con una particolare attenzione ai giovani: protagonisti e non solo destinatari dell’annuncio, che per aver successo deve passare attraverso la testimonianza, il dialogo e l’amicizia». Un annuncio che metta in gioco il linguaggio: «Oggi le parole della fede non sono più intese da una cultura multietnica e secolarizzata; così come lo stile dell’annuncio non deve essere intellettualistico ma capace di comunicare con affetto dentro una relazione che valorizza le persone».
Abitare. «L’abitare chiede di “stare presso” chi oggi è povero: carcerato, minore solo, donne in difficoltà… L’abitare è anche simbolico, pensando ai luoghi della cultura, a fronte di un divario che avvertiamo divergente dal vissuto del credente: di qui la necessità di raccontare la fede di sempre con linguaggi dell’oggi. L’abitare quotidiano come famiglia tra famiglie stabilendo rapporti di prossimità: la famiglia come soggetto è da valorizzare in questa direzione». Alcuni consiglieri hanno riproposto un’idea di qualche anno fa: «Famiglie che possano risiedere in canoniche oggi dismesse, con lo stile di famiglie cristiane “segno e testimoni” sul territorio».
Trasfigurare.Urge sostare negli spazi della preghiera, viverli, lasciandosi trasformare. In quest’ottica la liturgia domenicale è molto importante «perché raccoglie dalla dispersione, dalla frammentarietà e introduce al mistero». La vita secondo il Vangelo è, insieme, vita buona e bella. Ma tale bellezza «è anche drammatica, in quanto incarnata nell’amore che giunge fino alla croce». Però il Vangelo va presentato «suscitando stupore, emanando profumo buono e, soprattutto, calato nella vita ordinaria, nel quotidiano». Inoltre, non va trascurata la «liturgia come luogo dove cogliamo la dimensione trasfigurante e trasfigurata dell’umano». Di qui un suggerimento all’Arcivescovo per un percorso quaresimale che evidenzi il problema dei cristiani d’Oriente e del martirio, magari una lettera pastorale sullo stile delle beatitudini.
Il cammino verso Firenze, in ricerca di un nuovo umanesimo, ci impegna quindi «a sostare in un tempo che chiede il coraggio di sperimentare forme nuove di pastorale in uno stile profondamente relazionale, che sorga dal rimettere al centro la figura di Cristo e le persone nelle loro situazioni quotidiane; ma richiede altresì il coraggio di compiere percorsi di sequela che mettano in gioco in modo personale ciascuno di noi».
Non è mancato, nelle ultime battute del dibattito assembleare, un richiamo a un deficit culturale nel nostro agire quotidiano. Soprattutto si è messo in risalto «lo scarto tra carità e cultura, tra forme della dedizione visibili in tante esperienze e incapacità di farne un racconto e una riflessione più persuasiva». È vero che siamo in un contesto di “work in progress”, di transizione epocale, ma le istituzioni accademiche cattoliche sul territorio come potrebbero agire di più? Come potremmo far interagire maggiormente azioni e riflessioni in modo da offrire un apporto all’umanesimo cristianamente ispirato e capace di dare un contributo alla vita del nostro tempo? Come attuare sinergie con il territorio? Domande che esigono approfondimenti ulteriori per generare risposte concrete e condivise.
Senza dimenticare che «oltre ai percorsi di tipo “alto” ci sono altri percorsi culturali che attraversano il vivere ordinario e la prassi quotidiana dove è importante tenere insieme l’agire e il pensare: cioè carità e cultura». Alcuni consiglieri hanno evidenziato la necessità di gesti simbolici «che dicano da che parte intendiamo camminare, come spenderci come comunità ecclesiale, anche in chiave profetica». E hanno indicato tali gesti in relazione «al tema della casa e alla situazione di chi per motivi economici rimanda il matrimonio perché spesso troppo oneroso».
Concludendo la sessione l’Arcivescovo, dopo aver sottolineato che Gesù bussa alla porta di ogni uomo attraverso le circostanze della vita ordinaria, ha evidenziato tre situazioni come linee di cammino: «La famiglia come soggetto, la comunità educante (non solamente riferita al progetto in atto legato all’iniziazione cristiana) e all’abitare la società civile con una proposta di “nuovo” umanesimo che sia vivificato dal primato dello Spirito che guida la storia di tutti e di ciascuno».
Il tema della prossima sessione del Consiglio pastorale diocesano sarà dedicato alla “Vita consacrata” che la Chiesa sta celebrando con un anno speciale iniziato domenica scorsa e che si concluderà il 2 febbraio del 2016.