«È il luogo dove il nostro io ritrova la sua unità»: parole del cardinale Scola all’inaugurazione della mostra “Famiglia all’italiana”, aperta a Palazzo Reale fino all’1 aprile
di Stefania CULURGIONI
«Viviamo in una società in forte transizione, siamo anima e corpo, siamo uomo e donna, persona e comunità. Il rischio di sentirsi frammentati è sempre molto grande ed è la famiglia il luogo dove il nostro io ritrova la sua unità. Questa mostra è un’occasione importante: fa perno proprio su questo tema, così discusso nel nostro tempo, e ci mostra il recupero dell’io dentro le buone relazioni». Così il cardinale Angelo Scola ha inaugurato, ieri a Palazzo Reale, la mostra “Famiglia all’italiana”. Con lui il regista Gianni Amelio, l’assessore milanese alla Cultura Stefano Boeri e il curatore della mostra monsignor Dario Edoardo Viganò.
Quarantanove foto di scena di grandi film italiani più ventuno fotogrammi, in una galleria suggestiva di stanze dove i volti di Anna Magnani o Marcello Mastroianni, passando per Totò e arrivando a Carlo Verdone, scorrono in una successione evocativa, toccante, intensa.
«Non sono un esperto di cinematografia e non vedo tanti film – ha continuato l’Arcivescovo -, però quelli che ho visto mi hanno documentato su un aspetto: al di là di tutte le culture e di tutte le differenze, c’è un nucleo ultimo di resistenza ed è la famiglia. E nella famiglia si custodiscsono tutte le differenze costitutive dell’esperienza umana: quella sessuale tra uomo e donna, e quella tra le generazioni. In ogni famiglia ci sono entrambi i poli, e all’interno, una grande fecondità e l’apertura verso il dono di se stessi. La fecondità che c’è tra uomo e donna o nel passaggio da una generazione all’altra attraverso l’educazione. Questi sono i due poli permanenti di ciascuna vita familiare, al di là delle contraddizioni e delle difficoltà di cui tutti, ovviamente, nella nostra vita facciamo esperienza».
Contraddizioni, difficoltà, paure, conflitti, amore e ricchezza interiore che la cinematografia italiana ha sempre colto e rappresentato con uno sguardo profondo, realista oppure sognatore, inquieto oppure fiducioso, attraversando epoche, mentalità, costumi. Ma lasciando immutato il nucleo: la famiglia al centro, sempre lei. «Pensiamo agli anni del dopoguerra – ha spiegato per esempio Viganò -. Questa mostra ci fa capire come la ricostruzione e anche la rinascita siano passate proprio dalla famiglia, luogo di solidarietà e reciproco aiuto. E quindi anche oggi possiamo essere protagonisti di una società nuova attraverso l’attenzione verso quel nucleo».
Cosa che, per esempio, il regista Gianni Amelio ha fatto nei suoi film: «Nel 2000 girai Le chiavi di casa – ha raccontato -, mettendo al centro il rapporto tra padre e figlio». Proprio il regista ha ripercorso tutta la mostra fianco a fianco del cardinale Scola. Solo le immagini più significative, ma per ciascuna poche parole dense di significato: «Vede, Eminenza, in questo film i due genitori hanno sbagliato, e in quest’altro c’è una madre che si è fatta carico di tutto…».
Decine di storie dai finali diversi, con attori e attrici, trame e sviluppi costruiti ciascuno con la sensibilità del proprio regista. Aldo Fabrizi, nel 1946, era un bidello che, in Mio figlio professore, sperava che il suo bambino diventasse un letterato. Anna Magnani, in Bellissima di Visconti del 1951, era una madre che voleva a tutti i costi dare alla sua bambina un avvenire di successo, ma che si ritroverà a proteggere la sua innocenza.
«Questa mostra – ha continuato monsignor Viganò – deve essere guardata come un progetto educativo e valoriale che la Chiesa vuole offrire a proposito della famiglia. Oggi siamo circondati da un deserto antropologico in cui sembra sia importante solo il know-how dell’uomo, il suo equipaggiamento di esperienza. Non ci si preoccupa invece dei contenuti, della trasmissione di un progetto di vita. Questa mostra è quindi un cammino nella maturazione e nella coscienza di quei valori culturali».