Il sociologo presenta il senso dell’iniziativa dei Dialoghi di vita buona che partirà il 24 novembre: «Capire se Milano riuscirà a essere città soglia che ricuce le faglie»

di Pino NARDI

Bonomi

«Al di là della retorica della capitale morale, dell’Expo trionfante, il vero problema è capire se Milano riuscirà, nell’Italia e nel mondo in cambiamento, a diventare una città soglia, che ricuce e rammenda le faglie». Lo sostiene il sociologo Aldo Bonomi, direttore del Consorzio Aaster e membro del Comitato scientifico dei «Dialoghi di vita buona», che partiranno il prossimo 24 novembre al Piccolo Teatro Studio di Milano. Tema della prima serata sarà quello delle migrazioni, che vedrà protagonisti il filosofo Massimo Cacciari, il politologo Paolo Magri e il teologo monsignor Pierangelo Sequeri.

Bonomi, quale contributo potranno dare i «Dialoghi» al dibattito per il futuro di Milano?
Nel Comitato scientifico è emerso con drammaticità un punto nodale: il salto d’epoca, che dà il senso di quali possono essere i contributi che questo inizio di riflessione collettiva può dare a Milano. Il vero problema sarà capire come alcune iniziative di grande riflessione sui temi della metamorfosi epocale possono poi avere implicazioni che riguardano Milano, uno dei punti tellurici ove più che altrove i salti d’epoca, queste faglie, sono visibili. Soprattutto su input di Cacciari e del cardinale Angelo Scola, la riunione del Comitato scientifico ci ha indotto a riflettere sui grandi momenti epocali di cambiamento. Un salto d’epoca che riguarda la cultura, le economie, la società, le religioni. Non è solo una questione di filosofi, ma come questo grande processo diventa patrimonio della comunità, nella sua versione laica, la cittadinanza, ed ecclesiale nel tessuto della Chiesa ambrosiana.

Il filo conduttore è quello dei «Confini»: la prima serata è sulle migrazioni, tema scottante da anni. In una Europa che alza muri e fili spinati, Milano come si può porre di fronte a questo fenomeno così significativo per il nostro tempo?
Nel porre la domanda ha dato senso a quello che ho detto, perché ha posto il tema dei confini e nello stesso tempo ne ha spiegato la sua effettualità. Il confine è il grande tema del salto epocale: saltano i confini da un punto di vista geoeconomico, geopolitico, culturale, ma nello stesso tempo una prima effettualità di questo cambiamento sono le migrazioni. La vediamo nei muri di filo spinato che si tracciano in un’Europa in crisi totale di identità e di visione, ma anche ad esempio a Lampedusa e nel mezzanino della Stazione Centrale di Milano. Perché sono quei confini che ci entrano dentro, che interrogano la comunità locale, la cittadinanza. Ne vediamo le sue ripercussioni nel quotidiano, i micro confini, le micro barriere, i micro muri che erigiamo dentro la nostra città. Lo troviamo anche nel fatto drammatico dell’ebreo accoltellato. Il senso di questo lavoro è coniugare le grandi tematiche della discontinuità e del salto d’epoca con la vita quotidiana.

Cosa intende lei per confini?
La tematica epocale del confine produce alcune riflessioni. Innanzitutto, bisogna ragionare sui “luoghi faglia”, dove con il terremoto la terra si apre. Sono i grandi luoghi, il Mediterraneo, l’esodo dai Balcani verso nord, i luoghi della guerra molecolare come la chiama il Papa, la Siria. Ma non sono solo faglie delle forme di convivenza, ci sono anche quelle economiche: lo spread ha reso il rapporto tra la Grecia e l’Unione europea una dimensione tellurica. Altre faglie ci sono ogni volta che nelle nostre periferie si rompono le forme di convivenza. È un rimando a temi politici-culturali: c’è chi lavora per produrre le faglie e invece c’è chi lavora sui “luoghi soglia”.

Quali sono i «luoghi soglia»?
Sono il mezzanino della Stazione Centrale di Milano; l’azione della Caritas sul territorio dove c’è la faglia nelle forme di convivenza; il Fondo famiglia-lavoro del Cardinale, che costruisce soglia dove c’è il problema della povertà e della rottura economica. I “luoghi soglia” si costruiscono se saremo in grado di ricostruire tracce di comunità, che tendono a una società orientata a questo. È il messaggio interrogante che immagino il cardinale Scola lancerà: come la Chiesa può costruire tracce di comunità verso il cambiamento?

 

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