Don Paolo Alliata, autore di “E Dio disse: ‘Su il sipario!’” (Centro Ambrosiano), che raccoglie racconti teatrali ispirati alla Bibbia: «La scena è un formidabile strumento pedagogico»
di Gianluca BERNARDINI
«La mia passione per il teatro è nata quand’ero bambino», spiega don Paolo Alliata, laureato in Lettere, vicario parrocchiale a Milano e responsabile di diversi oratori, nonché autore di E Dio disse: «Su il sipario!» (Centro Ambrosiano), in libreria da pochi giorni. Un testo frutto di una lunga e maturata esperienza sul campo, che raccoglie racconti teatrali ispirati alla Bibbia.
«Mi sono sempre piaciute le storie e mi è sempre piaciuto partecipare alle messe in scena fin dai tempi degli scout – ricorda don Paolo -. Da adolescente ho pure scritto qualche racconto e qualche commedia simpatica. Entrato in Seminario, il rapporto con qualche parroco dove andavo a fare servizio ha accentuato questa mia predisposizione, fino a desiderare di recuperare quella vena teatrale rimasta in me un po’ nascosta. Diventato prete, nella parrocchia di Santa Maria del Rosario, dove sono stato destinato, c’erano giovani che facevano teatro. La partecipazione al loro gruppo ha risvegliato questa mia passione. Passando poi a San Simpliciano, con quattro oratori da gestire, ho capito che il mio ministero doveva prendere una piega diversa rispetto ai primi anni da prete, anche per rispondere ai bisogni obiettivi del territorio. Così ho iniziato a scrivere “Il racconto di Natale”, che ogni anno replichiamo con successo».
Perché scrivere proprio un racconto teatrale? Quale rapporto intercorre tra Bibbia e teatro?
La Bibbia è un racconto. Il primo narratore è Dio. Il mio desiderio è raccontare la Bibbia perché vorrei che i miei ragazzi e le loro famiglie possano conoscere questo spettacolo che è Dio o il Signore Gesù. I discepoli stessi l’hanno raccontato. Io penso di fare la stessa cosa con il racconto teatrale. Non saprei farlo in un altro modo. Mi piace e mi sento “al mio posto” quando racconto la Bibbia. Io racconto quello che Dio narra di se stesso. Se questo è uno strumento pedagogico o catechetico, non lo so propriamente, ma per conoscere Dio devo far parlare Lui. La catechesi non può che partire da qui. Il nostro compito nell’educare alla fede è prendere propriamente per mano un bimbo, un ragazzo, un giovane fino a che esso giunga alla soglia dell’incontro personale col Signore vivo e risorto. Oggi il mio raccontare col teatro ha questo scopo: se uno arriva a conoscere un po’ di più Dio o Gesù stesso o gli viene voglia di leggere i Vangeli… allora l’obiettivo è raggiunto.
Come il teatro può diventare uno strumento privilegiato per la formazione umana e spirituale dei ragazzi?
Il teatro ha il vantaggio di essere uno degli strumenti pedagogici più formidabili. Ai ragazzi delle medie, agli adolescenti o agli adulti stessi il racconto teatrale permette loro di confrontarsi prima di tutto col testo biblico (cosa non sempre scontata e facile), ma poi anche con loro stessi. Ho in mente qualcuno, magari timido, che mai, avrei detto, si sarebbe “buttato” sul palco. Ho visto persone occupare lo spazio in modo diverso, che poco per volta hanno iniziato a “buttar fuori la voce” fino a far uscire parti di sé che mai avrebbero pensato di avere. Il teatro è un vero strumento, non l’unico, in questo senso. Inoltre il teatro implica una corresponsabilità molto forte. Uno non può “saltare le prove” perché non ha voglia; perché sa che ciò penalizza tutti. Oppure non può non studiare bene la propria parte perché sa che ciò è importante per poter interagire al meglio con gli altri. C’è un lavoro di e sul gruppo enorme dietro ogni performance. La grande domanda che mi faccio è su «chi verrà dopo di me»: che senso avrà avuto l’impegno di questi anni? Mi auguro che qualcosa maturerà grazie alla passione nata in qualcuno che oggi abita meravigliosamente la scena. Certo un oratorio non può essere impostato tutto sul teatro: non deve diventare un “pallino” per alcuni; ma si può camminare molto con questo “strumento” efficace, prezioso e “spirituale”.