Dal 10 al 16 giugno a Lucca ventidue spettacoli per la terza edizione del Festival nazionale, che vede anche una nutrita partecipazione di artisti e compagnie lombarde
I Teatri del Sacro non è solo un Festival, e neppure una semplice vetrina di nuove produzioni, ma in prima istanza un’avventura artistica e culturale dedicata alle intersezioni, sempre più diffuse, fra il teatro, la ricerca religiosa e la tensione spirituale: un “corpo a corpo” libero e sincero con le domande della fede, acceso dall’azione drammatica.
Un interesse, direi quasi un’urgenza di confronto con la dimensione del sacro e della spiritualità che trova conferma, anzi esce ulteriormente rafforzata, anche nella terza edizione del Festival, sia in termini quantitativi che qualitativi: basti pensare alle 250 compagnie che nel settembre scorso hanno aderito al bando, dalle quali, attraverso una lunga fase di selezione, sono stati scelti i 20 progetti vincitori e i due eventi speciali: 22 spettacoli con i maggiori protagonisti della scena teatrale contemporanea, 22 angolature diverse e originali per accostarsi al sacro, 22 sguardi sulla ricerca religiosa e sul suo significato nella nostra contemporaneità, uno spazio di incontro tra credenti e non credenti.
È questa la ricchezza de I Teatri del Sacro: una pluralità di prospettive che tuttavia è possibile unificare in un principio di fondo sotteso a tutti gli spettacoli: l’interesse, il bisogno, la curiosità, la nostalgia nei confronti del sacro è oggi una tensione che chiede di confrontarsi con qualcosa di concreto, di saldo, legato alla vita, qualcosa che unisca cielo e terra, che riconcili l’uomo con il valore della sua umanità.
Si spiega così la presenza di alcuni temi portanti che ritornano in molti spettacoli: dalla questione problematica del perdono e della misericordia alla riflessione sulla morte e sulle soglie del morire, uno dei temi più rimossi della contemporaneità, tra rifiuto della fine e illusione dell’immortalità. E poi il richiamo alle suggestioni del pellegrinaggio come recupero della lentezza, come reviviscenza di una memoria perduta del sacro e di un rapporto più autentico con la terra. Ben presente inoltre sulla scena il richiamo alla bellezza e al senso misterioso della creazione.
E ancora, la passione di Cristo, cuore dell’esperienza cristiana, messa a confronto con la passione dell’uomo, con la sua lotta per la giustizia e per il lavoro. Una passione che, nel simbolo della croce, è anche passione della donna, da Maria alla Maddalena, fino alla Felicita di testoriana memoria. Ritorna in questa edizione anche il tema della mistica, con la sua inaspettata attualità, fatta di ascesi e quotidianità, con due spettacoli dedicati a Teresa di Lisieux e a Ildegarda di Bingen. Infine lo sguardo e l’ascolto dei semplici, dagli ultimi e dai “poveri in spirito” di don Tonino Bello alle Storie del buon Dio di Rilke, «scritte ai grandi perché le raccontino ai piccoli».
Tra gli artisti e le compagnie presenti, da segnalare un nutrito gruppo di area lombarda. Si parte daChi Resta di Carmelo Rifici, con i testi di Roberto Cavosi, Angela Demattè e Renato Gabrielli: una successione di brevi episodi dove la questione del perdono tocca alcuni dei più dolorosi episodi della nostra storia, focalizzandosi su chi ha perso una persona cara per terrorismo, per mafia, per abuso di potere.
Ancora il tema del perdono diventa azione sacrificale nello spettacolo di Roberto Abbiati (La radio e il filo spinato), costruito con azioni e oggetti e dedicato a padre Massimiliano Kolbe, che prima di morire ad Auschwitz disse al suo aguzzino: «Lei non ha capito nulla della vita. L’odio non serve a niente… Solo l’amore crea». Alla voce di Ferruccio Filipazzi viene invece affidato il tema della bellezza e del senso misterioso della creazione nello spettacolo Genesi, ispirato al testo Io ti domando di Giusi Quarenghi, presentato come un dialogo tra una voce, un violoncello e la forza visiva delle immagini create dal vivo sulla sabbia da Massimo Ottoni.
Sul versante opposto alla creazione, il Franco Agostino Teatro Festival approfondisce il tema tristemente attuale della distruzione del creato da parte dell’uomo, con Il Guasto, testo di Marcello Chiarenza (che cura anche la regia) sul dramma di Chernobyl e sui limiti della scienza.
Il nucleo della Passione trova poi il suo vertice nello spettacolo Felicita, messa in scena da Tib Teatro, con Maddalena Crippa e Giovanni Crippa. Due straordinari attori, due fratelli che, di nuovo insieme sulla scena dopo tanto tempo, affrontano con intensità e coraggio uno dei testi più dolorosi di Testori, nei vent’anni dalla morte: Passio Letitiae et Felicitatis, il viaggio di una donna sfortunata (Felicita senza l’accento, dice la protagonista) costantemente in cerca della verità e della purezza di un amore troppo presto perduto (il fratello morto) e mai più ritrovato, in un vortice di sofferenze e di violenze subite e inflitte che tuttavia, anche nei momenti più bui e lontani dalla luce, non cessano di invocare, direttamente o indirettamente, come una preghiera silenziosa, la presenza della croce.
E infine Margherita Antonelli che, in Secondo Orfea, ci offre un esilarante racconto della vita di Gesù ad opera di una popolana della Palestina, finita per caso ad abitare accanto a quella strana coppia di sposi e al loro (ancor più strano) figlio: uno sguardo comico, ma di una comicità che, per la sua capacità di vedere il lato rovesciato della realtà, ne mette in luce anche le pieghe più dolorose, senza paura di mostrare il suo lato più drammatico.