Redazione
«Tra l’invocare il rispetto di norme giuste, condivise e finalizzate al bene comune, tra il chiedere alle istituzioni garanzie per la propria sicurezza e per quella dei propri cari e l’intolleranza o l’esclusione di persone soltanto perché appartenenti a una determinata etnia o gruppo sociale, vi è una netta e sostanziale differenza». Non poteva essere più chiaro il cardinale Tettamanzi nel Percorso pastorale di quest’anno. Il grido degli “ultimi degli ultimi” non può non arrivare alle orecchie attente di una comunità cristiana vitale.
«Quando in un territorio la convivenza suscita problemi nuovi, occorrerà affrontarli in modo adeguato e ricercare soluzioni che sappiano rispondere ai diversi bisogni sempre nel rispetto della dignità della persona – continua -. Ma occorrerà trovarle assieme, per il miglior bene possibile di tutti gli abitanti di un determinato territorio, lontano dagli stili e dai linguaggi aggressivi ed emotivi che invocano soluzioni drastiche e semplificatrici. Alla fine queste soluzioni si rivelano poco efficaci sul piano pratico, dal momento che ogni problema lasciato irrisolto o mal risolto si ripresenta ben presto, magari in forma decisamente peggiorata». «Le nostre città sono contemporaneamente Babele-Babilonia e Gerusalemme – sottolinea -. Sono luogo di vita attiva, di scambi culturali e commerciali, intreccio di relazioni fitte e audaci, orgogliose e povere insieme, luogo di contraddizioni dove coesistono miseria e benessere, dove si possono trovare i grandi segni della presenza di Dio accanto ai tristi e vistosi luoghi della sua mancanza. In esse coesistono l’esibizione di ogni spettacolarità e insieme la nascosta sofferenza degli invisibili e degli irrilevanti; dove si incontrano il più totale impegno e il più squallido disinteresse, dove convivono prossimità e anonimato».
Tettamanzi è consapevole di difficoltà, freni e impedimenti. Ma invita le parrocchie ambrosiane a offrire il proprio contributo, nell’accoglienza dei nuovi nuclei familiari. «Questo discorso vale, in modo particolare, nei confronti delle famiglie straniere immigrate che vengono, spinte da bisogni o da ragioni le più diverse, ad abitare nel nostro Paese e nelle nostre città – sottolinea il Cardinale -. Queste famiglie immigrate, già con la loro stessa presenza, sono domanda esplicita di una cittadinanza nuova, forse diversa, ma che deve stimolarci a un dialogo continuo e ad un esame di coscienza per cambiare e arricchire la nostra società. Si incontrano certamente anche situazioni di grande fragilità, che ci chiedono una conversione del cuore e un impegno più generoso a cui non siamo abituati. Non ignoriamo difficoltà legate all’impossibilità del ricongiungimento del coniuge e dei figli, al problema della legalità e della sicurezza della società, a questioni scottanti come la casa, il lavoro, la previdenza sociale e altro ancora. Se tali problemi sono difficili da affrontare da parte degli italiani, diventano a volte montagne insormontabili per tante famiglie straniere anche perfettamente regolari». Dall’Arcivescovo giunge una forte sollecitazione personale: «Non è spontaneo per nessuno in queste occasioni rifarsi e ispirarsi allo spirito più radicale del Vangelo e c’è per tutti il rischio di chiudersi in una eccessiva preoccupazione per noi stessi – ammonisce -. È importante acquisire innanzitutto una reale conoscenza della situazione e delle persone, nelle loro qualità positive, nei loro limiti e nelle loro differenze. Solo così riscopriremo gli aspetti positivi della loro nuova presenza, le risorse culturali e religiose di cui sono portatori». (p.n.)